Capitolo V: Rapimento!

Era una radiosa giornata di fine settembre. Già si percepiva tuttavia l'aria pungente dell'autunno, mentre Alisa e Jacques camminavano attraverso il vigneto, con una piccola scorta di guardie, ben armate ed addestrate, che li seguiva con discrezione ad una certa distanza. Alfio, il coltivatore di quel particolare vigneto, era con loro, desideroso di mostrare alla sua padrona i progressi nella maturazione dell'uva.

"Ecco qua", disse, dirigendosi alla loro sinistra. "Questo lato del vigneto è più esposto al sole, e l'uva sta maturando più in fretta. Se le temperature non calano troppo in fretta, penso che potremo cominciare la vendemmia uno o due settimane prima dello scorso anno."

Alisa osservò più da vicino i pesanti grappoli che pendevano dalla vigna, considerandone il colore dorato. Toccò un paio di acini, tastandone la consistenza, poi ne colse uno e lo assaggiò. "Eccellente", annuì, soddisfatta. "Hai ragione, Alfio, vendemmieremo quest'uva prima, tempo permettendo, e produrremo un Prosecco tardivo particolarmente buono."

Voltandosi, notò l'espressione incuriosita di Jacques. "Forse vi state chiedendo perché questo particolare vigneto non è stato ancora vendemmiato?" gli chiese con un sorrisetto saputo.

"In effetti, sì", ammise. "Non sono un esperto, ma pensavo che si vendemmiasse l'uva non appena abbastanza matura da essere consumata oppure pressata..."

La guardò con aria interrogativa, ed Alisa annuì a conferma. "Di solito si fa così, vero. Tuttavia, qualcuno ha scoperto – probabilmente in modo puramente casuale – che, se si lascia l'uva sulla vigna per alcune settimane in più, diventa più dolce. Più zucchero nei frutti significa un contenuto alcolico maggiore nel vino risultante, il quale diventa più pregiato, e conseguentemente si può chiederne un prezzo più alto. Mio padre era piuttosto scettico, ma io insistetti perché si provasse con almeno un paio di vigne. I fatti mi hanno dato ragione, pertanto abbiamo cominciato a tenere un vigneto per questo tipo di vino, che è già venduto prima ancora che ne inizi la fermentazione."

"Perché non più vigneti, se il vino è così redditizio?" indagò Jacques, alquanto perplesso.

"Perché se c'è troppa offerta, il prezzo diminuisce", fu l'immediata risposta di Alisa.

Jacques non poté impedirsi di sogghignare: era una donna d'affari veramente astuta.

Era anche una donna molto attraente.

Jacques aveva attentamente sepolto quei pensieri, spingendoli nelle profondità della mente, ma tutt'ad un tratto, essi si ripresentarono a tradimento e presero il sopravvento.

Il suo sorriso si addolcì, gli occhi fissi in quelli di Alisa, la luce dorata del sole che le gettava un caldo bagliore sul viso. Il cavaliere fece un passo in avanti, annuendo per esprimere il proprio apprezzamento per la sua conoscenza della materia, ma c'era qualcos'altro nel suo sguardo: un calore, una scintilla di qualcosa di inespresso.

Alisa trattenne il fiato quando lui si avvicinò, la sua presenza che improvvisamente riempiva lo spazio tra loro. La fresca aria autunnale sembrò immobile quando Jacques si sporse verso di lei, il corpo sufficientemente vicino da farle percepire il calore che irradiava... Una sensazione inaspettatamente gradevole. Per un momento, pensò che lui stesse per baciarla. Come avrebbe reagito? Pensava che lui fosse attraente, vero, ma non lo desiderava; né lui, né alcun altro uomo, se per questo. Per non parlare della sconvenienza di un simile gesto...

Jacques si allungò dietro di lei, la mano che sfiorava la vigna mentre coglieva un singolo acino d'uva con grazia casuale. I loro visi erano ora così vicini che lei poteva vedere le macchie dorate nei suoi occhi di un profondo marrone, luccicanti laddove venivano toccati dal sole. Alisa provò una lieve vertigine.

"Mmm... delizioso", Jacques mormorò pianissimo, la voce bassa mentre assaporava l'acino d'uva, lo sguardo ancora fisso in quello di lei. Quell'unica parola era carica di significato, qualcosa di quasi giocoso, ma non si poteva equivocare l'intensità dietro di essa. Dopo un momento, però, il cavaliere fece un passo indietro, un sorrisetto canzonatorio che premeva agli angoli delle sue labbra.

Alisa sentì come uno sfarfallio nel petto, ma non era una donna che si potesse facilmente mettere in imbarazzo e si riprese in fretta. Restituì il sorrisetto, gli occhi scintillanti di ilarità. "Lieta che siate d'accordo con me riguardo alla qualità delle mie uve!"

Jacques rise. "Touché!" esclamò, genuinamente divertito dalla sua arguzia.

Alisa sogghignò apertamente e stava per aggiungere qualcosa quando, senza alcun preavviso, il mondo finì brutalmente sottosopra.

All'improvviso, il silenzio del vigneto fu spezzato da un fruscio: per Jacques, un suono fin troppo famigliare di pericolo. La sua espressione si indurì in un attimo, l'istinto che prendeva istantaneamente il sopravvento mentre la sua mano volava all'elsa della spada. Ombre di uomini si muovevano rapidamente tra le vigne, emergendo con le armi sguainate.

"Imboscata!" urlò Jacques, la voce sia un avvertimento, sia un ordine secco mentre si poneva protettivamente davanti ad Alisa, sfoderando la spada con un movimento fluido. La piccola scorta di armigeri balzò in azione, formando una linea difensiva, gli scudi alzati. Gli attaccanti si fecero avanti velocemente, le facce contorte, le armi scintillanti al sole.

Jacques affrontò di petto il primo impatto, la lama che risuonava di un'acuta vibrazione metallica contro la spada dell'attaccante. La forza del colpo riverberò attraverso il suo braccio, ma egli pressò in avanti, torcendo il polso dell'avversario e facendolo barcollare all'indietro. Gli occhi del capitano saettarono verso Alisa, che aveva raccolto un solido ramo da terra; appariva fredda ma tesa, donna capace di difendersi ed impavida di fronte alla battaglia.

"Statemi vicino!" Jacques abbaiò, ma le parole gli erano appena uscite di bocca quando un altro assalitore gli si slanciò contro dal lato. Jacques piroettò su se stesso appena in tempo: la lama dell'altro gli sfiorò la spalla, scalfendogli la pelle. Jacques emise un grugnito, il dolore acuto del taglio che acuiva ancor più la sua concentrazione. Con un colpo rapido e brutale, abbatté l'attaccante.

Il vigneto era nel caos. Carne ed acciaio si scontravano mentre gli attaccanti venivano avanti, in numero ben maggiore degli armigeri. Jacques combatteva ferocemente, ogni mossa calcolata, ogni colpo mortale. La sua spada lampeggiava nel sole, atterrando un uomo dopo l'altro, ma il soprannumero degli assalitori era schiacciante.

Bilanciando la mazza improvvisata tra le mani, Alisa rimase ferma, i piedi divaricati in posizione di combattimento, pronta ad affrontare qualsiasi minaccia. I suoi occhi scrutavano tutt'attorno a sé per impedire che un avversario l'assalisse alle spalle. L'adrenalina le scorreva nelle vene come un fuoco, acuendo i suoi sensi, smorzando la paura e trasformandola invece in fredda furia. Come osavano attaccarli, questi sconosciuti, invadendo il suo feudo?

Due uomini avanzarono su di lei, le facce distorte in smorfie crudeli. Alisa vibrò il ramo come una clava, obbligandoli ad arretrare. I due si separarono e la circondarono, avanzando su di lei da entrambi i lati. Alisa urlò selvaggiamente e brandì la sua simil-mazza.

Pur continuando a tener d'occhio gli assalitori, udendo il suono del suo grido Jacques le lanciò un'occhiata. Vide due uomini che la caricavano da lati opposti.

Il movimento parve rallentare mentre Jacques osservava Alisa volteggiare il ramo contro uno degli attaccanti, tenendolo a distanza; ma l'altro le giunse abbastanza vicino da agguantarle il braccio. Tuttavia, lei reagì rapidamente, colpendo duramente l'uomo dritto in faccia con la sua arma estemporanea.

Il suono secco del legno contro la carne fu così forte che Jacques riuscì a sentirlo perfino nel fracasso della lotta.

L'aggressore si ritirò dolorante, il sangue che gli sprizzava dal naso rotto, ma il secondo assalitore si mosse veloce, colpendo Alisa con un manrovescio così forte che lei vide le stelle e si accasciò a terra, priva di sensi.

"NO!" Jacques ruggì, il cuore che gli picchiava in petto mentre veniva travolto dalla furia. Tentò di spingersi attraverso l'ondata di attaccanti, ma venne circondato e colpito da tutte le parti. Bloccò un fendente diretto alla sua testa, ma un dolore acuto lo trafisse quando un'altra spada gli aprì un taglio sulle costole. Digrignando i denti, continuò a combattere, ma le forze lo stavano abbandonando.

Uno degli assalitori lo colpì duramente dietro la testa. Il mondo vorticò violentemente e Jacques cadde in ginocchio, lottando per restare cosciente. La vista si offuscò e, appena prima che l'oscurità lo inghiottisse, vide il corpo incosciente di Alisa venir gettato di traverso su un cavallo. Gli attaccanti si ritirarono tra gli alberi, svanendo velocemente com'erano apparsi.

Jacques crollò al suolo; l'ultima cosa che udì fu il suono di zoccoli che si allontanavano al galoppo. Poi tutto divenne nero.

OOO

Con un gemito, Alisa si risvegliò in una situazione molto sgradevole. Giaceva bocconi di traverso sulla sella di un cavallo, i polsi legati strettamente. La testa le pulsava e sentiva in bocca il sapore metallico del sangue. Nonostante il dolore, si obbligò ad alzare la testa, usando anche le braccia come leva per sollevare un poco la schiena e vedere meglio quello che la circondava.

"Ah, la gatta selvatica se ha svegliata", le giunse una voce beffarda da destra, dietro il cavallo. Alisa voltò la testa e vide un soldato a cavallo che la osservava, un sogghigno arrogante sulla faccia sfregiata. "C'hai dato un bel po' de' problemi, ragassa, lo sai?"

Il desiderio di ordinare di essere subito lasciata andare corse alle labbra di Alisa, ma si rese immediatamente conto che sarebbe stato del tutto inutile. Meglio fare domande proficue. "Chi siete?" domandò in tono imperioso. "Chi vi ha mandato?"

Era profondamente preoccupata, anche impaurita, ma non lo avrebbe dato a vedere.

L'uomo rise. "Ma che ragassa vivace che sei, eh? Beh, non c'è niente de male a dirtelo, tanto lo scoprirai presto da sola. El mi nome l'è Orso, e 'l me padron l'è el Conte Bembo de Asolo. Stemo andando là, bambola, e non c'è modo che ce scappi."

Alisa sentì lo stomaco rivoltarsi: il maledetto Bembo, di nuovo! Lei e Jacques si erano ovviamente aspettati qualche tipo di reazione dopo la scomparsa di Mariano di Ortiga e dei suoi uomini vicino ad Aquileia, alcune settimane prima, ma non un rapimento in pieno giorno nel cuore del suo feudo. O Bembo aveva un gran fegato... oppure era completamente impazzito.

Obbligandosi a tenere a bada il suo terrore e a pensare a mente fredda, Alisa valutò le sue opzioni: poteva scappare, poiché soltanto i suoi polsi erano legati, ma se anche fosse riuscita a scivolar giù dal cavallo che la trasportava, non avrebbe avuto nessuna possibilità a piedi contro una dozzina di uomini montati. Doveva riuscire a mettersi seduta in groppa.

"Non posso fare tutta la strada fino a Asolo in queste condizioni"; disse, il tono autoritario contenente una falsa nota di rassegnazione. "Per favore, fatemi sedere in sella."

Orso sembrò ponderare la sua richiesta. "Vabbè", disse, facendo segno ai suoi uomini di fermarsi.

Mostrando una goffaggine che non le apparteneva, Alisa finse di far fatica a scendere dal cavallo, e poi ancor più a rimontare. L'armigero che teneva le briglie del cavallo la tenne d'occhio; non appena la vide seduta in sella, si girò ed incitò il proprio destriero. Alisa approfittò della sua distrazione e, sporgendosi in avanti, afferrò le redini e gliele strappò di mano. Colpì forte coi talloni i fianchi del suo cavallo e l'animale balzò in avanti. Alisa strattonò le redini verso sinistra e guidò la cavalcatura lontano dagli uomini di Bembo, lanciandola ad un galoppo selvaggio verso nord, verso Valdastico per andare incontro a Jacques che - ne era sicura - le stava venendo in soccorso.

Sfortunatamente, il cavallo che aveva così astutamente rubato era solo un ronzino e Orso ed i suoi uomini riuscirono a raggiungerla in pochi minuti. Alisa tentò disperatamente di tenerli lontani tirando selvaggiamente calci contro di loro, ma senza risultato. Orso in persona agguantò le redini e le tirò brutalmente per obbligare il cavallo a fermarsi.

"Adesso basta", ringhiò il sergente. "Te la sei cercata, ragassa."

Alisa venne legata come un salame, avvolta in una corda per tenerle strette le braccia al corpo, impedendole di aggrapparsi a qualcosa, e le redini del suo cavallo furono annodate al corno della sella di Orso. In questo modo, era impossibilitata a fuggire.

"Gatta selvatica", sputò Orso. "El mi padrone avrà il suo bel daffare par domarte. Ma non pensare che non ci riuscirà, signorinella."

Gli occhi di Alisa lampeggiarono di sdegno bruciante, anche se un brivido gelido le scorse lungo la spina dorsale.Jacques, pensò supplichevolmente.Ho bisogno del vostro aiuto.

Non l'avrebbe delusa, lo sapeva; frattanto, doveva restare concentrata e trovare il modo per sopravvivere a questo incubo. Facendo ricorso a tutta la sua considerevole forza di volontà, Alisa si preparò mentalmente ad affrontare qualsiasi cosa l'aspettasse.

OOO

Quando Jacques si svegliò, il sapore del sangue gli riempiva la bocca e si sentiva dolorante dappertutto. Per un momento, disorientato, tentò di alzarsi. Gli sovvenne il ricordo dell'attacco, ed il suo cuore si strinse, per paura e collera in pari misura.

"Alisa..." sussurrò, la voce roca. Il fiato gli si strozzò in gola mentre rammentava come la contessa era stata gettata di traverso su un cavallo e portata via... rapita.

Jacques si obbligò a tirarsi in piedi, nonostante il dolore che gli trapassava le costole. Si guardò attorno nel vigneto con occhi scrutatori: diversi suoi uomini giacevano feriti, alcuni di essi morti. Tra questi ultimi c'era anche lo sfortunato Alfio, con le budella che gli fuoriuscivano da un orribile squarcio nell'addome. Jacques sentì la bile salirgli in bocca alla vista del pover'uomo, che era stato un marito ed un padre di famiglia.

Non c'era traccia di Alisa o dei suoi rapitori.

Uno degli armigeri ancora in piedi barcollò verso Jacques, stringendosi un braccio insanguinato. "Signore, capitano... l'hanno presa. Sono andati verso sud... verso Asolo."

Jacques strinse la mascella mentre la furia lo coglieva.Asolo. Iacopo Bembo. Il malvagio conte l'aveva presa.

"Li inseguiamoadesso", ordinò Jacques con voce fredda e decisa. "Andiamo a prendere i cavalli."

Assieme a tutti gli uomini ancora in grado di stare in piedi, il capitano scattò di corsa verso Castel Malatesta. Non appena si avvicinarono ai cancelli, Jacques urlò alle guardie: "All'armi! All'armi! La contessa è stata rapita!"

Dopo appena un momento di immobilità dovuto alla totale incredulità, tutti entrarono in azione. Con grande soddisfazione di Jacques, gli armigeri risposero in maniera veloce ed appropriata. In pochi minuti, Vaillant e diversi altri cavalli erano sellati e pronti a partire. Jacques congedò gli armigeri feriti e ordinò che quelli morti fossero riportati dal sito dello scontro; poi, selezionò rapidamente alcuni degli altri armigeri, incluso il Sergente Giuliano, per far parte della squadra di salvataggio. Tutti gli uomini erano furibondi per la faccia tosta di Bembo e pronti a spellarlo vivo, lui ed i suoi tirapiedi.

Ben presto, Jacques e tre armigeri di Valdastico stavano galoppando furiosamente lungo il sentiero che portava verso Asolo.

La mente di Jacques correva con ogni passo. Non si sarebbe fermato. Non si sarebbe riposato fino a quando Alisa non fosse tornata, e fino a quando Iacopo Bembo non avesse pagato per ogni singola goccia di sangue che era stata versata.

Il sentiero li portò più addentro alle colline, attraverso densi boschi e su percorsi disseminati di rocce. Le impronte di zoccoli erano ancora fresche, ma Jacques sapeva che avevano perso tempo prezioso. Il fianco gli doleva laddove la lama gli aveva tagliato la carne – fortunatamente in modo superficiale – ma ignorò il dolore, concentrandosi unicamente sulla strada davanti a loro. Dopotutto, in confronto ad altre ferite che gli erano state inferte, questa era appena un graffio.

Adesso, tutto quello che importava era salvare Alisa dalle grinfie di Bembo.

OOO

Lo spiacevole tragitto durò un paio d'ore. Quando raggiunsero Asolo, entrarono attraverso i cancelli della città e cominciarono a cavalcare su per la strada principale in direzione del castello. Gli abitanti evitarono il gruppo montato, tenendosi a distanza, ma Alisa vide chiaramente come mormoravano tra loro, costernati nel vedere una signora in abiti eleganti che veniva trascinata prigioniera lungo le strade.

Poco dopo, raggiunsero il castello, un edificio imponente ma mal tenuto, situato sulla sommità di un colle nella parte posteriore di Asolo. Nel cortile, Alisa fu tirata giù da cavallo senza tante cerimonie e trascinata su per lo scalone verso l'entrata principale, poi ancora su per altre rampe di scale fino al terzo piano. Qui, Orso la spinse dentro una stanza, tagliò le corde che la legavano e marciò fuori, chiudendo la porta a chiave dietro di lui.

Massaggiandosi le braccia ed i polsi, Alisa si guardò attorno: si trovava in una camera lussuosa. Un enorme letto con pesanti cortine di velluto rosso era posto alla sua sinistra, con un grande baule di legno ai piedi. Un armadio era collocato contro la parete opposta, dove scorse anche una cassettiera con sopra un bacile ed una grande brocca. Diversi asciugamani erano ordinatamente impilati accanto ai due oggetti.

Rapidamente, Alisa attraversò la stanza per sbirciare fuori dalla finestra. Avrebbe trovato la vista sulle dolci colline attorno ad Asolo splendida, se non si fosse trovata in quella situazione. Guardò verso il basso: non c'era modo di saltare, poiché si trovava a circa dieci metri di altezza.

Doveva pensare ad un'altra via di fuga.

Frattanto, poteva ben approfittare della brocca e degli asciugamani. Andò al cassettone e versò dell'acqua nel bacile, poi usò il sapone profumato alla lavanda per lavarsi viso e mani, asciugandosi poi con un asciugamano. Trovò anche una spazzola, un pettine ed uno specchio a mano; così, si spazzolò i capelli scarmigliati. Guardando il suo riflesso nel piccolo specchio, constatò soddisfatta che il proprio aspetto era nuovamente adatto ad una nobildonna.

Infine, Alisa si accomodò su una sedia ed attese, pronta ad affrontare ciò che l'aspettava. Nonostante fosse una persona forte e volitiva, le sue mani tremavano leggermente, perciò se le strinse in grembo. Per nessun motivo avrebbe permesso a Bembo di vedere quanto fosse, in realtà, spaventata.

Non dovette aspettare a lungo: mezz'ora dopo, udì la serratura scattare e Iacopo Bembo marciò dentro la stanza, la camminata che trasudava tutta la sua arrogante presunzione.

Era un uomo alto, di mezza età, leggermente sovrappeso; i suoi capelli biondi si stavano ingrigendo, come pure i suoi curatissimi baffi e pizzetto.

Alisa non si disturbò ad alzarsi in segno di rispetto e rimase invece seduta, osservandolo con sguardo furioso. "Come vi permettete", ringhiò a denti stretti.

Il Conte di Asolo sogghignò, fissandola con freddi occhi azzurri. "Focosa come sempre, vedo, mia cara Dama Alisa. Perfino dopo essere stata rapita, malmenata, legata e imprigionata." Si guardò attorno. "Ma che bella cella, comunque."

Alisa ignorò la sua osservazione sardonica. "Non fatemi perdere tempo, Bembo", scattò. "Cosa volete?"

Bembo strinse gli occhi. "Lo sapete bene cosa voglio, mia signora", rispose in tono basso e pericoloso. "Voi, e Valdastico."

Alisa se l'era ovviamente aspettato; nonostante ciò, un brivido gelido le scese per la schiena. Tuttavia, ancora una volta si costrinse a nascondere il suo terrore e riuscì ad emettere una risata sprezzante. "E come progettate di raggiungere il vostro scopo, prego?"

La domanda era retorica, perché sapeva fin troppo bene come costui pensava di ottenere quello che voleva, ed il pensiero le rivoltava lo stomaco.

"Sposandovi, naturalmente", dichiarò Bembo con arroganza, senza neppure rendersi conto di star affermando l'ovvio.

"Non accetterò mai"; replicò Alisa in tono deciso.

Le labbra di Bembo si curvarono lentamente in un ghigno orribile che la gelò fino alle ossa. "Oh, voi accettereteeccome, mia cara... dopo che vi avrò portata a letto, con o senza il vostro consenso, e messa incinta."

Alisa fu travolta dall'orrore: Bembo stava parlando apertamente di stupro! Le parve che tutta l'aria venisse risucchiata fuori dai suoi polmoni. Lottò per parlare. "Non... potete dire sul serio", sussurrò, tentando disperatamente di tener ferma la voce.

Bembo ridacchiò malignamente. "Oh, no, dico sul serio, mia signora, ve l'assicuro", disse.

Alisa sentì le gelide dita della paura scavare fin dentro la sua anima. Tutta la sua abilità di arciera sarebbe stata inutile, se Bembo l'avesse attaccata adesso. Aveva un piccolo stiletto, nascosto nel bustino dell'abito, ma non avrebbe potuto tenerla al sicuro per sempre. Era vulnerabile, e lo sapeva.

La sicurezza di Alisa minacciò di andare in mille pezzi ed i suoi occhi si dilatarono per il puro terrore. Non riuscì a nascondere il violento tremore che la scuoteva da capo a piedi.

La vista del suo sgomento fece ridere Bembo con malevolenza. "Siete alla mia mercé, Alisa", ringhiò. "Come vi fa sentire questo, mmmh...?

Era chiaro che stava godendo della sua paura. I suoi occhi scintillarono di eccitazione. Forse stava perfino avendo un'erezione, si rese conto Alisa con disgusto ed orrore.

Lottò per respirare.Non perdere la testa, Alisa, pensò. "No... non potete farlo", disse, sforzandosi ancora una volta di tenere la voce ferma. "Disonorereste non soltanto me, ma pure le leggi della Repubblica. Leggi che consentono alle donne di essere padrone del loro destino!"

"Non m'importa un accidente delle leggi della Repubblica", proclamò Bembo, sprezzante.

Per un momento che sembrò un'eternità, Alisa fu incapace di respirare, di parlare, perfino di pensare. Questo era molto peggio del suo più terribile incubo. Agghiacciata, sentendosi del tutto impotente, per qualche istante perse la sua sicurezza. Tutto quello che voleva fare era scappare e nascondersi da quest'uomo rivoltante.Oh, Jacques, mio cavaliere, dove siete...?Implorò dentro di sé.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, la soluzione, seppur temporanea, giunse alla sua mente oscurata.

Jacques. Lui, lui era la soluzione. Sarebbe venuto in suo aiuto. Lo sapeva. Era una certezza assoluta, e lei vi si sarebbe aggrappata.

Tuttavia, aveva bisogno di guadagnar tempo perché lui potesse arrivare e trovarla.

Il suo cervello ricominciò a lavorare, ritrovando l'acume, cercando un pretesto plausibile.

Un'idea prese improvvisamente forma.

Stringendo i denti, Alisa coraggiosamente domò il proprio terrore e costrinse le ginocchia a muoversi. Lentamente, si alzò dalla sedia. "Non sono una pulzella", annunciò, forzando la voce ad uscirle dalla gola stretta e ad assumere un tono credibilmente assertivo. Bembo la fissò con occhi dilatati dallo sbalordimento. "Sono stata fidanzata, un tempo, ricordate?" Alisa continuò, facendosi coraggio ad ogni parola. "Inoltre, da alcuni mesi ho un amante. Jacques Le Gris, il mio capitano della guardia e braccio destro."

Vide che ogni parola era come una lama che trapassava la sicurezza di Bembo, mandando in pezzi i suoi piani.

"Era nel mio letto anche la notte scorsa", incalzò Alisa, sempre più ardita di momento in momento. "Pertanto, se volete essere sicuro che io non sia già incinta di un altro uomo", aggiunse inesorabilmente, un sottotono di trionfo nella voce, "dovete attendere fino al mio prossimo ciclo lunare, che sarà fra tre settimane."

Questo era del tutto falso, giacché se lo aspettava entro pochi giorni; ma voleva avvantaggiarsi il più possibile, e quest'uomo disgustoso non aveva modo di accertarsene.

Bembo strinse spasmodicamente le mani a pugno. Sembrava sul punto di soffocare per la rabbia. Per un momento, Alisa pensò che l'avrebbe percossa e si preparò al colpo, ma non avrebbe ceduto. Era l'unico modo che era riuscita ad escogitare per guadagnare tempo, tempo durante il quale sarebbe stata al sicuro. Tempo che le avrebbe permesso di trovare un modo di scappare, o a Jacques di arrivare in suo soccorso.

"Bene", Bembo ringhiò infine, quasi sputando la parola. "Avete tre settimane."

Con ciò, piroettò su se stesso ed uscì, sbattendo la pesante porta con un tonfo e chiudendola a chiave.

Alisa cadde nuovamente a sedere sulla sedia, sentendo la testa che le girava, quasi ubriaca di sollievo. Per il momento, era al sicuro dalla lascivia di Bembo.

OOO

Assieme ai suoi uomini, Jacques cavalcò a più non posso; la sua mente registrava appena il rumore degli zoccoli che battevano sul suolo sotto di lui, mentre pensava più rapidamente del vento della corsa che gli frustava il viso. Il suo cuore, invece, pareva più lento, pesante, ogni battito che risuonava di furia, preoccupazione, e qualcosa di più profondo che non riusciva a identificare.

Il pensiero di Alisa presa, rapita in pieno giorno, gli faceva ribollire il sangue. La sua presa sulle redini si fece più forte, le nocche che impallidivano sotto i suoi guanti di pelle nera. Ogni parte di lui doleva, non per la battaglia di prima, ma per il pensiero di lei nelle mani di quel maiale, Iacopo Bembo. Quel nome spregevole gli echeggiava nella testa come una bestemmia.

Ma sotto la collera c'era qualcos'altro, qualcosa di inquietante. La sua ansia per Alisa era acuta, perfino dolorosa, ma perché? Lei era la sua signora, certo, ma c'era in lui una sensazione nuova, sconosciuta. Qualcosa che si risvegliava quando il suo volto gli compariva davanti, quando immaginava il suo sguardo pieno di coraggio e di sfida, ed il fuoco nei suoi occhi. Lo stesso fuoco che lo aveva incuriosito fin dall'inizio, non appena si erano incontrati, e che ora, ancor più di prima, sembrava bruciargli dentro come una lenta fiamma. Il pensiero del male che le poteva essere fatto...

Strinse la mascella. Non poteva permettersi di perdersi in questi sentimenti. Non adesso. Lui era uno stratega, un uomo di precisione tanto quanto d'azione. Le emozioni avrebbero solamente annebbiato il suo giudizio, e questo non se lo poteva permettere. Alisa aveva bisogno che lui fosse concentrato, acuto.

L'avrebbe trovata.

E Bembo si sarebbe pentito di aver anche solo pensato di metterle le mani addosso.

Questo, Jacques lo giurò.

Il sole aveva iniziato la sua lenta discesa quando raggiunsero i dintorni di Asolo. Dalla cima di un basso crinale, Jacques poteva vedere la città estendersi davanti a lui, le mura della fortezza del malvagio conte che si elevavano minacciosamente in lontananza.

Tirò le redini del suo cavallo e sollevò una mano per segnalare ai suoi uomini di fare altrettanto. Gli armigeri lo attorniarono, stanchi ma determinati. Gli occhi di Jacques bruciavano di feroce intensità mentre fissava la città, il cuore che batteva con ira e determinazione. "Non finisce qui", ringhiò. "Andremo a riprenderla."

"Sì, lo faremo, capitano!" esclamò Giuliano, e gli altri due armigeri annuirono, agitando i pugni verso Asolo ed il suo spregevole signore.

La mente di Jacques vagliava velocemente le loro opzioni. Andare alla carica della città non era fattibile. Troppi degli uomini di Bembo stavano sicuramente tenendo d'occhio le strade, specialmente dopo un rapimento tanto sfacciato. Ed attaccare il castello era fuori questione, praticamente un suicidio. Aveva bisogno di un piano, qualcosa che lo avrebbe portato nel cuore della fortezza senza suscitare allarme, dandogli la possibilità di cercare Alisa.

I suoi occhi scrutarono il paesaggio: Asolo era appollaiata sulla sua collina, il castello che si ergeva sopra di essa come un oscuro predatore. I cancelli principali erano ben custoditi, la guardia probabilmente rinforzata dopo l'arrivo di Alisa prigioniera. Poi, mentre osservava lungo il declivio che portava alla città, Jacques scorse qualcosa: un carro.

Non era un carro qualsiasi. Era carico di botti – botti di vino, per l'esattezza. Il carro di un mercante, probabilmente uno di tanti che si dirigevano al castello per consegnare provviste.

Un pensiero improvviso sorse in Jacques, uno che aveva del potenziale, ma aveva bisogno di qualcosa di più. La sua mente vorticava. Un carro pieno di botti... ma era troppo ovvio, troppo semplice. Le guardie avrebbero sicuramente ispezionato il carico. No, aveva bisogno di qualcosa di meno scontato. I suoi occhi seguirono il carro mentre avanzava a fatica sulla strada sterrata, e poi la vide: la piccola processione di lavoranti che lo seguivano, portando pesanti carichi di grano e altre provviste sulle loro spalle o in carretti trainati a mano.

Lavoranti.

Gli occhi di Jacques si strinsero, mentre la sua mente iniziava a mettere insieme un piano.I lavoranti erano spesso ignorati: figure senza volto né nome che scivolavano dentro e fuori dai castelli quasi senza neanche un'occhiata da parte delle guardie. Erano invisibili. E se c'era una cosa che aveva imparato durante i suoi anni da cavaliere, era che l'invisibilità, al momento giusto, poteva essere più efficace di una lama.

Si girò verso gli armigeri. "Abbiamo bisogno di una ricognizione", disse. La sua mente turbinava mentre pianificava i prossimi passi. Non poteva rischiare di portare i suoi uomini, sarebbe stato troppo vistoso. "Vado solo io. Sarà più facile mescolarsi ai villici", aggiunse in fretta, vedendo che Giuliano stava aprendo la bocca con l'evidente intenzione di protestare. "Voi tre entrerete più tardi, e ci incontreremo da qualche parte vicino al castello. Suggerisco una taverna lungo la strada principale. Toglietevi tutte le insegne di Valdastico e fatevi passare per soldati di fortuna. Ma io ho bisogno di procurarmi degli abiti da lavorante."

Jacques li istruì affinché rimanessero appena dietro la linea degli alberi, coperti dai tronchi e dall'ombra della foresta. "Giuliano, con me", disse infine. "Avrò bisogno di qualcuno che riporti indietro i miei vestiti."

A piedi, Jacques ed il sergente si avvicinarono ai lavoranti ed ai mercanti che si stavano dirigendo verso Asolo. Il piano era rischioso, ma era la sua migliore possibilità per penetrare nel castello senza essere notato e cercare Alisa, o almeno, per raccogliere indiscrezioni riguardo al luogo dov'era tenuta. Osservò il gruppo: uomini in tuniche consunte di tessuto grezzo, chiaramente esausti per il viaggio, che tiravano carretti pieni di sacchi di grano ed altri cereali. Questi erano uomini di pochi mezzi, ma in quel momento, il loro vestiario ed anonimato valevano più dell'oro per Jacques.

Mentre si avvicinavano ai mercanti, Jacques squadrò le spalle ed assunse un'aria di calma autorità. Sebbene abbigliato come un cavaliere, appariva malconcio dal precedente scontro, ciò che gli dava un'apparenza più sospetta. Nonostante questo, i lavoranti sbatterono gli occhi, confusi, vedendo i due uomini armati avvicinarsi. Alcuni di loro si fermarono bruscamente, lanciando sguardi diffidenti verso di sconosciuti.

"Ho bisogno dei tuoi abiti", disse Jacques senza preamboli, guardando un uomo dalle spalle larghe di corporatura simile alla sua, che mostrava una faccia sfregiata ed un naso storto. La voce del cavaliere era bassa e ferma, ma stavolta meno un ordine e più un'apertura.

Il lavorante occhieggiò Jacques sospettosamente. "I me' abiti?" ripeté, incredulo. "De che se tratta?"

"Non sono un ladro", Jacques aggiunse velocemente, percependo la tensione salire. "Sono un cavaliere di Valdastico venuto qui per una cosa urgente. La mia armatura è troppo vistosa per il lavoro che devo fare. Ho bisogno di passare inosservato, e devo farlo in fretta."

L'uomo sfregiato incrociò le braccia, lo sguardo che si assottigliava mentre squadrava Jacques. "Un cavaliere de Valdastico, ah? E che succede se refiuto?"

Jacques rimase in silenzio per un momento, notando che uno degli altri lavoranti stava stringendo più forte le mani sui tiranti del suo carretto. Stava camminando sul filo del rasoio, il capitano si rese conto. Non poteva intimidire questi uomini come avrebbe fatto con soldati o banditi. Questi erano lavoratori, ostinati ed orgogliosi a modo loro. Doveva offrir loro qualcosa che potessero rispettare.

Frugando all'interno del suo mantello, Jacques estrasse un sacchetto di pelle e lo gettò ai piedi dell'uomo. Il sacchetto colpì il terreno con un leggero tintinnio, il suono inconfondibile di monete. "Questo è più che sufficiente per il disturbo", disse Jacques, la voce ferma ma cortese. "I tuoi abiti, e sarai ben ricompensato. Non ne sentirai neppure la mancanza."

L'uomo sfregiato si accucciò, raccogliendo il sacchetto, e lo aprì con attenzione. Dilatò gli occhi alla vista delle monete che conteneva: ducati d'argento. Ne morse uno come a controllarne l'autenticità prima di tornare a guardare Jacques. I lavoranti dietro di lui si scambiarono occhiate incuriosite, attendendo la decisione del loro compagno.

L'uomo studiò Jacques ancora per un momento, poi fece spallucce. "Penso de poterme separare da' miei vestiti, pe' 'sti soldi."

Ci fu qualche risatina tra i lavoranti, ma la maggioranza osservò il sacchetto con sguardo invidioso. Se fossero stati al posto del loro compagno, tutti loro avrebbero fatto esattamente lo stesso.

L'uomo si spogliò della sua rozza tunica e del mantello, porgendoli a Jacques. Il cavaliere poteva vedere la diffidenza nei suoi occhi, ma rimase calmo, offrendo un breve cenno di gratitudine.

L'uomo sfregiato esitò per un momento, poi guardò Jacques dritto negli occhi. "Non so che affari ve portino a Asolo, ma state attento. Voi gente de Valdastico non siete proprio amati qua intorno, e c'è state chiacchiere de guai in arrivo, al castello."

Jacques sostenne fermamente lo sguardo dell'uomo. "Grazie per l'avvertimento. Starò attento." Mise una mano sulla spalla dell'uomo in un gesto di reciproco rispetto. "Sarà presto fatta, ed avrai il denaro a compensarti."

Con questo, Jacques si spogliò rapidamente, scambiando la sua armatura con la tunica rozzamente tessuta ed il mantello. La stoffa era ruvida e inadatta lui, se paragonata alla sua abituale tenuta, ma avrebbe servito allo scopo. Una volta rivestito, Jacques sollevò il cappuccio del mantello appena acquisito, tirandolo basso sul volto e nascondendo efficacemente il volto.

Lanciò un'occhiata a Giuliano, che stava ora custodendo l'armatura ed il resto degli abiti di Jacques. Il cavaliere aveva però tenuto la spada, nascosta sotto il mantello del lavorante. "Torna dai nostri uomini", lo istruì a bassa voce. "State nascosti per un paio d'ore e poi entrate a Asolo. Trovate la taverna più vicina al castello lungo la strada principale e aspettatemi lì."

"Sì, capitano", rispose Giuliano a voce ugualmente bassa. "Tornate tutto d'un pezzo", aggiunse con un sogghigno.

Jacques sogghignò a sua volta alla spiritosaggine dell'altro. "Lo farò", gli assicurò.

Con un cenno di saluto, lo stagionato sergente si voltò e tornò verso il bosco.

Il lavorante sfregiato, soddisfatto del pagamento, osservò Jacques unirsi alla retroguardia del loro gruppo, confondendosi senza fatica nella processione mentre si avviavano verso i cancelli della città. L'odore di sudore e terra si diffondeva nell'aria mentre camminavano stancamente, passando inosservati alle guardie al cancello. Jacques tenne la testa bassa, il cuore che gli batteva in petto. Ogni passo lo portava più vicino ad Alisa.

In città, le strade erano brulicanti di attività. Camminando lentamente lungo la strada, Jacques continuò a lanciar occhiate a destra e a sinistra per localizzare le taverne. Ne contò quattro, l'ultima ad appena un centinaio di metri dai bastioni della fortezza, denominataIl Buon Boccale. Qui il piccolo gruppo dei suoi uomini lo avrebbe aspettato, possibilmente con notizie di Alisa.

I lavoranti furono sospinti verso il castello, dove le guardie li guardarono a malapena mentre passavano attraverso il portone. Le mura di pietra del castello incombevano su di loro, imponenti e proibitive, ma Jacques non aveva tempo di esitare. La sua mente stava già lavorando alla prossima mossa.

Attraversarono il cortile del castello, dove servitori e guardie si muovevano senza badare agli umili lavoranti. Jacques osservò le pattuglie, la conformazione delle mura, e gli ingressi. Doveva entrare dentro il castello, nel cuore della fortezza, dove era più probabile che stessero tenendo Alisa.

Quando si avvicinarono all'area di scarico per le merci, Jacques si allontanò dai lavoranti. Si mosse silenziosamente, gli occhi che scrutavano intorno.

Ad un tratto, Jacques scorse una figura famigliare: lo stesso uomo che aveva guidato il gruppo che li aveva attaccati nel vigneto. Aveva sentito uno dei suoi uomini chiamarlo Orso.Un nome molto appropriato, pensò, giacché la sua corporatura e brutalità richiamavano il grosso animale selvaggio.

Il farabutto stava camminando spavaldo con un sogghigno soddisfatto sulla faccia, arrivando dall'edificio principale. Jacques scivolò nell'ombra, serrando la mascella, le mani che si stringevano a pugno mentre lottava contro l'impulso di saltare addosso al bruto per pestarlo a sangue. Il vero obiettivo di Jacques era Bembo, non un tirapiedi senza cervello. Pertanto, il capitano si obbligò a starsene quieto e fermo, finché Orso non fu fuori vista.

Jacques si voltò per osservare l'edificio principale del castello.Dove poteva essere Alisa?Dubitava che Bembo l'avrebbe tenuta nelle segrete, perché era una nobildonna ed il suo scopo era convincerla a sposarlo, pertanto doveva ingraziarsela, non alienarsela ancor più di quanto già non fosse. Questo ragionamento, aggiungendosi alla direzione da cui era venuto Orso, convinse Jacques che la Contessa di Valdastico doveva essere tenuta in una delle stanze del piano nobile, dove gli aristocratici vivevano ed accomodavano i loro ospiti.

Presa la sua decisione, Jacques si avvicinò all'edificio principale, cercando un modo per entrare. Scorse l'entrata per le cucine basse del castello, non sorvegliata, con servitori che entravano ed uscivano in continuazione portando ceste di vettovaglie e utensili. Mostrando sicurezza, come se quello fosse il suo posto, Jacques scivolò all'interno, tenendosi ai margini della stanza.

Il calore delle cucine era soffocante, ma nessuno gli prestò attenzione. Per loro era soltanto un altro lavorante. Jacques si mosse con decisione, mentre i suoi occhi saettavano verso lo scalone che saliva al piano superiore. L'aria era carica degli odori di carne arrosto e pane appena sfornato, ma la sua mente era focalizzata unicamente su una cosa: Alisa.

Ascese le scale con cautela, scivolando oltre servitori e guardie che a malapena notarono la sua presenza. Il cuore gli batteva forte in petto mentre si inoltrava nel castello, la mente che già pianificava i prossimi passi.

L'avrebbe trovata.

L'avrebbe portata via di qui.

E che Dio aiutasse chiunque si fosse messo in mezzo.