72. La sfida

Cassandra finì di mangiare la sua colazione con calma, almeno in apparenza, sebbene si stesse gustando appieno il sapore del cappuccino e del croissant non poteva negare che, dentro di lei, era in corso una battaglia tra le sue aspettative e ciò che le stava arrivando dall'esterno: lei pensava di dover combattere, di doversi difendere, di dovere odiare … invece si era ritrovata in un luogo di pace e accoglienza che l'aveva spiazzata.

"Cosa vuoi fare ora?" le chiese Charles alzandosi per sparecchiare la tavola.

Lei era ancora seduta, si era distratta osservando il giardino, si voltò verso il fratello e verso Logan, che era ancora seduto insieme a loro, ed entrambi attendevano la sua risposta.

"Non lo so …" mormorò lei "Vorrei fare due passi. Da sola." si affrettò a specificare, notando che Logan già si stava alzando per poterla accompagnare.

Charles sorrise a Logan per fargli capire che poteva lasciarla andare e, come se niente fosse, iniziò a portare via piatti e bicchieri per poterli lavare.

Mentre Cassandra si allontanava vide con la coda dell'occhio il fratello entrare in casa e Logan allontanarsi borbottando tra sé e sé ma non se ne curò, continuando invece a camminare verso il giardino.

Per i primi minuti camminò spedita, quasi con rabbia, poi qualcosa cambiò, la pace della campagna si impossessò di lei e si ritrovò a camminare lentamente, osservando ogni albero, ogni fiore, cercando rifugio all'esterno per non dover affrontare i dubbi che la tormentavano all'interno.

Poco lontano vide una panchina, posizionata in un luogo strategico sotto un maestoso albero e di fronte al lago; senza esitare si avvicinò e si sedette per godersi quei momenti di silenzio, proprio quando stava per prendere sonno percepì i pensieri di qualcuno che si stava avvicinando. Cercò di ignorarli, sperando che l'intruso se ne andasse e la lasciasse stare, il rumore del legno della panchina che si piegava sotto il peso di un nuovo occupante le fece invece capire che il suo desiderio non era stato esaudito.

"Amo questo posto" disse Erik.

Cassandra si voltò verso di lui, si era seduto e aveva gli occhi chiusi, appariva assolutamente tranquillo e rilassato e riuscì a trasmettere quelle sensazioni anche a lei.

"Sì" ammise Cassandra quasi controvoglia "Sembra molto rilassante."

Erik sogghignò, aprì gli occhi e guardò quelli di lei.

"So che hai fatto colazione con Charles stamattina" disse "Com'è stata?"

"Buona." rispose lei, rimanendo appositamente sul vago.

"Lui invece?" insistette Erik "Credi ancora che sia uno sciocco?"

"Sì!" esclamò lei senza esitare ma Erik scoppiò a ridere.

"Ho detto qualcosa di buffo?" chiese Cassandra leggermente offesa.

"No, no, assolutamente" rispose lui "Il fatto è che io conosco Charles da una vita, forse sono una delle persone che lo conoscono meglio e lui non mi può mentire, riconosco immediatamente quando dice una bugia."

Cassandra incrociò le braccia e le gambe in atteggiamento difensivo.

"Quindi?" chiese con rabbia "Questo cosa ha a che fare con me?"

"Tu e lui avete gli stessi occhi" spiegò Erik "Posso riconoscere una menzogna nei tuoi come la riconosco nei suoi."

Cassandra aprì la bocca per ribattere ma non trovò nulla da dire, Erik aveva fatto centro, negare sarebbe stato totalmente inutile.

"Quindi non credi più che sia uno sciocco, giusto?"

Lei non rispose, fissò il lago come se la superficie dell'acqua le potesse in qualche modo restituire una risposta accettabile. Erik si accorse del suo disagio e parlò per primo.

"Qualche anno fa fui catturato e il Governo mi fece imprigionare in una cella fatta interamente di plastica. Fu tremendo, lo ammetto: ero solo, lontano dal mio elemento e impossibilitato a portare avanti la lotta per la quale avevo dedicato tutta la mia vita. Restai prigioniero per più di un anno prima di riuscire ad evadere, ma in tutto quel tempo ci fu una sola cosa che mi impedì di impazzire: Charles."
Cassandra distolse lo sguardo dal lago e guardò lui.

"Charles avrebbe avuto tutte le ragioni per odiarmi, invece veniva a trovarmi una volta a settimana per farmi compagnia. I primi tempi detestavo quando veniva, pensavo che lo facesse per farmi pesare la sconfitta e porre l'accento sulla sua vittoria, poi questo sentimento svanì, mi resi conto che stavo proiettando su di lui pensieri che invece erano miei. Sì, lo ammetto, al suo posto avrei fatto così, sarei andato da lui solo per ricordargli che aveva perso … lui no. Lui veniva perché teneva a me come tiene a me ora, veniva per non farmi sentire solo, per farmi vedere che, nonostante tutto, c'è sempre una speranza."

"La speranza di pensarla come lui?" chiese Cassandra in tono provocatorio.

"No, no" rispose Erik con un sorriso "Speranza di essere felici. Charles non ha mai voluto che gli altri seguissero la sua via, il suo obiettivo era aiutarli a trovare la propria."

Cassandra tornò a guardare il lago, le parole di Erik avevano risposto involontariamente alle domande che si era posta fino a quel momento.

"Cosa facevate quando veniva a trovarti?" chiese con viva curiosità.

"Mah, nulla di particolare" rispose lui stringendosi nelle spalle "Giocavamo a scacchi, leggevamo il giornale, chiacchieravamo o discutevamo di qualche libro che avevamo letto. Charles si comportava come se non fossi nemmeno in una cella e credo che sia stato questo a farmi restare lucido per tutto quel tempo."

Cassandra annuì, obbligata a constatare quella realtà sul fratello. Lei sapeva già cosa gli era successo, i ricordi perduti e poi ritrovati, la vita travagliata e piena di sofferenza, tutti tasselli di un puzzle che avevano contribuito a crearlo così com'era: aveva vissuto e sofferto e il suo cuore non poteva sopportare che altri provassero ciò che lui per primo aveva sperimentato.

"È molto generoso" disse Cassandra con tono piatto.

"Non solo" rispose Erik "Credo che la chiave sia la sua telepatia, è talmente potente che lo rende empatico, percepisce le emozioni degli altri anche senza volerlo e le vive come se fossero sue. Questa è solo una mia teoria ovviamente, ma non credo che sia tanto distante dalla realtà."

Cassandra annuì ancora, chiedendosi come avrebbe reagito lei all'altrui sofferenza. Indifferenza? Piacere? … Dolore? In quel momento, per esempio, cosa provava? Si sentiva in pace, forse era Erik a trasmettere quella sensazione? Sentì che stava arrossendo perciò si alzò e si voltò in modo che lui non la vedesse.

"È meglio che vada a cercare Charles" disse "Ho alcune cose da chiedergli.

"Ci vediamo più tardi" rispose Erik e, senza voltarsi, chiuse nuovamente gli occhi e tornò a rilassarsi.

Cassandra ripercorse la stessa strada, stavolta più agitata, le parole di Erik continuavano a risuonare nella sua mente come il ritornello di una canzone, stavolta non si soffermò ad osservare ciò che le stava attorno, avanzò a passo di marcia finché, quasi senza rendersene conto, non arrivò a casa. Charles era ancora seduto al tavolo dove aveva consumato la colazione ma stavolta, al posto di piatti, bicchieri, posate e cibo, erano sparpagliati fogli, penne e matite, accanto a lui c'era Lester, vestito completamente di bianco e con una macchia di farina sulla guancia.

"Direi di ordinarne altri cinquanta chili" disse "Sembra tanta ma ti assicuro che finisce presto!"

"Certo" acconsentì Charles annuendo "Anche cento."

"Sì, ancora meglio! Cento di quella normale e cinquanta di quella ai cereali."

"Ottimo. Allora possiamo aggiungere anche … oh! Cassandra!" disse, accorgendosi solo in quel momento della sua presenza "Come puoi vedere oltre a combattere e portare avanti la causa dei mutanti dobbiamo occuparci anche di questioni più … pratiche."

Cassandra diede un'occhiata ai fogli sul tavolo, erano fatture di diversi tipi di farina, uova, burro, panna e altri ingredienti.

"Ah, senti Charles, avrei un'idea!" disse Lester sfregandosi le mani "Per caso le hai già detto come si dovrà guadagnare da vivere qui?"

Charles rise.

"Non so nemmeno se vorrà restare!" rispose.

"Be', in ogni caso" continuò lui rivolgendosi a Cassandra "Se vorrai renderti utile potresti venire a lavorare per me! Da quando vivo qui mi sono auto assunto come panettiere: faccio questo lavoro da quando ero un ragazzo e sono decisamente bravo: preparo il pane, i dolci, la pizza, aiuto in cucina … Hai assaggiato i croissants stamattina? Li ho fatti io!" disse con orgoglio.

"Ah, sì, certo! Erano deliziosi!" rispose lei con entusiasmo "Però Charles ha detto che non sono come quelli che ha mangiato a Parigi!" aggiunse con malizia.

Charles sorrise e Lester le fece l'occhiolino.

"Oh, certo!" rispose Lester "Non sono mica francese! Sono scozzese!"

Cassandra sogghignò.

"Credi davvero che io possa essere una buona aiutante?"

"Assolutamente sì! Ti ci vedo, sai? Tra la farina e l'acqua ad impastare! Si vede dal tuo sguardo che hai voglia di fare. La panificazione è un'arte, necessità precisione e dedizione e tu hai l'aria di una persona che le ha entrambe. Charles invece …" continuò, lanciandogli un'occhiata e scuotendo la testa "Lui è troppo intellettuale, si distrarrebbe e mi rovinerebbe tutti gli impasti."

Charles scoppiò a ridere.

"È vero!" ammise "Però sarebbe interessante per te, non credi?"

Cassandra era ancora una volta stupita, fissò Lester per qualche istante, lui ricambiò lo sguardo lanciandole una sfida silenziosa che lei afferrò al volo.

"Ottimo!" disse "Cosa dovrei fare?"

Lester si sfregò ancora le mani con viva soddisfazione.

"Per ora nulla" disse "Stanotte ti aspetto all'una stanotte per fare i primi impasti. Ora, se volete scusarmi, ho finito di fare gli ordini e posso concedermi di andare a dormire! Buona … notte?" chiese, ma guardò il cielo azzurro e sospirò "Buon riposo a me! Ci si vede!"

Charles si voltò verso Cassandra, che nel frattempo era rimasta a bocca aperta sentendo l'orario al quale avrebbe dovuto presentarsi da Lester. Si alzò e iniziò a riordinare i fogli sparsi sul tavolo.

"Qui abbiamo finito, ora devo andare in aula. Da quando sono ringiovanito ho abbandonato temporaneamente l'insegnamento ma è ora di ricominciare. Vuoi venire ad assistere a una mia lezione?"

Cassandra sbattè gli occhi un paio di volte per riprendersi dallo shock e si voltò per osservarlo, sorrideva sperando che lei dicesse di sì e non potè fare a meno di accontentarlo.

"Va bene" disse dopo un lungo sospiro "Non voglio vederti piangere per un rifiuto."

Charles rise cogliendo l'ironia della risposta.

"Cosa insegni?" chiese Cassandra, incuriosita.

"Fisica." rispose Charles "Se vuoi posso procurarti un quaderno e una penna per prendere appunti!"

Cassandra alzò gli occhi al cielo ma lo seguì.

La lezione fu decisamente interessante e Cassandra ascoltò con attenzione, la voce di Charles era come una musica, era un piacere ascoltarlo, inoltre spiegava ogni nozione con semplicità ma senza trascurare i dettagli importanti e intuendo le domande degli allievi prima che le ponessero.

"Si vede che è portato per l'insegnamento." pensò "È davvero bravo."

Durante tutta la lezione non gli staccò mai gli occhi di dossi, teneva in mano la penna ma non scrisse nemmeno una parola e quando la lezione terminò le dispiacque.

"Allora?" le chiese Charles quando rimasero soli "Ho visto che hai seguito."

"Devo ammettere che sei un discreto insegnante" rispose lei, decisa a non dargli una soddisfazione.

"Ti ringrazio!" rispose lui con entusiasmo, consapevole di ciò che in realtà pensava "Se vuoi ora posso mostrarti la tua stanza … sempre che tu decida di restare."

Cassandra distolse lo sguardo.

"Per qualche giorno potrei restare" disse "Inoltre avrò bisogno di un posto dove dormire, almeno temporaneamente, se devo andare a lavorare con Lester stanotte."

"Molto bene. Seguimi."

Charles raccolse le sue cose e si avviò fuori dall'aula, certo che lei lo avrebbe seguito.

"Quindi avrò una stanza tutta per me?" chiese lei "Dove?"

"Per ora starai qui" rispose Charles "Poi se vorrai potrai andare in uno dei nuovi appartamenti."

La condusse verso le stanze dove dormivano gli studenti, in fondo al corridoio ce n'era una ancora vuota, Charles aprì la porta.

"Ovviamente è vuota" spiegò "C'è il letto con le lenzuola e le coperte e tutto il necessario in bagno, nient'altro."

Cassandra entrò, la stanza non era enorme ma per lei sarebbe stata perfetta, una grande finestra dava sul giardino, a sinistra c'era un armadio perfetto per una persona e a destra la porta si apriva su un piccolo bagno privato.

"Se vuoi riposare fai pure, tra un'ora ci sarà il pranzo. Insomma, fai come se fossi a casa tua …" Charles la guardò e le sorrise "Perché ci sei."

Cassandra entrò nella stanza e si guardò attorno, ancora stordita, stava per rispondere a Charles ma lui era già uscito e si era chiuso la porta alle spalle per darle un po' di intimità.

Si accomodò sul letto, ancora intontita da tutto ciò che aveva sperimentato quel giorno, in poche ore aveva affrontato tante emozioni, una più intensa dell'altra, aveva bisogno di capire come queste avrebbero influito su di lei, sul suo carattere, sul suo destino.

Si distese e chiuse gli occhi, la stanza era molto simile alla cella in cui era stata fino a quel momento ma lei era libera … lo era davvero? Aveva forse paura di ciò che stava affrontando? Di ciò che Charles le stava offrendo? No. Non poteva avere paura. Cassandra si alzò e andò a guardare fuori dalla finestra, il suo sguardo sicuro e determinato, avrebbe affrontato anche quella prova con coraggio, anche se avesse significato buttare all'aria tutte le sue convinzioni. Charles le aveva lanciato una sfida e lei l'avrebbe colta.