Bentornati in questo nuovo capitolo. Mi piacerebbe davvero tanto avere un vostro feedback, sto mettendo cuore e anima in questo racconto, soprattutto per analizzare il percorso di Charles tra tutti i cambiamenti.

Soprattutto vorrei una vostra opinione in merito a un argomento: fino ad ora ho appena accennato alle scene più erotiche (anche in questo capitolo vedrete che si intuisce appena) perché mi interessano ma fino ad un certo punto: a voi piacerebbe se le approfondissi di più?

Un abbraccio

Mini

20. X

Charles era immobile, il suo viso era scolpito nella pietra mentre tutti, attorno a lui, stavano rapidamente impazzendo. Tony Stark stava continuando a parlare riguardo la sua collaborazione con la Securtech e sembrava entusiasta del progetto.

Charles attese qualche istante poi le parole e i pensieri dei presenti iniziarono ad essere assordanti. Non si disturbò nemmeno ad aprire la bocca, comunicò con tutti telepaticamente.

"SILENZIO!" *

Tutti i presenti si voltarono, pensieri e parole si placarono.

"Andate a dormire. Tutti." disse, con voce e sguardo autoritari "Adesso." aggiunse, dal momento che nessuno si era ancora mosso.

L'ultimo ordine ebbe finalmente l'effetto desiderato, Bobby spense la televisione e tutti corsero via intimoriti. Se ne andarono tutti, tranne quelli che fino a poco prima avevano parlato con Charles nel suo studio.

"Si può sapere cosa sta succedendo, Charles?" chiese Erik, che riusciva a stento a trattenere la collera, soprattutto dal momento che il suo amico sembrava invece calmo e rilassato "Tony fa il doppio gioco?"

Anche gli altri iniziarono a parlare e ben presto si ricreò il caos che Charles aveva appena placato ma bastò un suo sguardo per metterli a tacere.

"Non so quali siano le intenzioni di Tony" spiegò "So per certo che ha fatto due cose in queste poche ore."

La voce di Charles era calma e pacata come sempre ma il suo sguardo era freddo come il ghiaccio.

"Come prima cosa si è alleato con i dirigenti della Securtech." spiegò.

"Lurido bastardo!" esclamò Logan.
"No" lo contraddisse Charles "Ha fatto l'unica cosa razionale che potesse fare. Noi abbiamo dei documenti e dei progetti ma sono già del tutto obsoleti, l'unico modo che Tony aveva per ottenere informazioni esatte e aggiornate era entrare nella Securtech dalla porta principale."

"Quindi stai dicendo che sta facendo il doppio gioco … con loro?" chiese Erik "Come una spia?"

Charles annuì.

"Allora perché …" continuò, ma Charles lo precedette.

"Perché rivelarlo tramite una trasmissione televisiva?" chiese "Voleva che lo sapessi in modo indiretto. Se fosse venuto qui domani e mi avesse spiegato la situazione non avrebbe potuto testare la mia fiducia."

Charles li guardò, uno per uno, erano tutti confusi.

"La tua fiducia?" chiese Logan.

"Oggi ho parlato di Fiducia con lui" spiegò Charles, mettendo più enfasi in quella parola "Lui sa che io mi fido di lui e sa che se così non fosse agirei in qualche modo. L'unica cosa che possiamo fare ora è non agire ma aspettare."

"Davvero hai fiducia in quell'Homo Sapiens?" chiese Erik, beffardo "Mi meravigli!"

Charles rise, una risata indecifrabile, misteriosa, che non lasciava trapelare i suoi veri sentimenti.

"Sentiamo, che idea vi siete fatti di me?" chiese, ancora preda di quel momento di ilarità "Voi sapete che io sono un uomo pacato, pacifico e diplomatico …"

Il suo sorriso scomparve così come era apparso, era diventato serio, quasi spaventoso.

"Ciò non esclude che io possa anche essere pericoloso."

Ora era davvero inquietante, il suo viso quasi si era deformato per la tensione, parlò a denti stretti, teso per la rabbia trattenuta, guardava di fronte a sé, non un punto preciso e non sembrava nemmeno che stesse parlando con qualcuno in particolare ma con se stesso.

"Mi fido di Tony, ma fino ad un certo punto come uomo; di certo mi fido di più della sua intelligenza e, credetemi" cotinuò, scandendo ogni parola con crescente ira "dovrebbe essere un completo idiota se osasse anche solo pensare di poter tradire me!"

Aveva pronunciato quelle parole quasi come se fosse posseduto, attorno a lui si era creata un'aura quasi visibile di energia negativa che li fece rabbrividire tutti.

Poi, com'era apparsa, scomparve, Charles tornò se stesso, calmo e rilassato, il suo sguardo andò altrove, un altro pensiero era giunto per distrarlo.

"Ho fame" disse e, concentrandosi su ciò che avevano mangiato per cena, capì che era rimasto qualche avanzo in frigo "Chi vuole un po' di Jambalaya?" **

Non attese risposta, sapeva bene che tutti avevano cenato. Sorrise e il sorriso ebbe un effetto ipnotico che calmò tutti.

"Andate a dormire e non preoccupatevi."

Detto questo, uscì dalla stanza per andare in cucina.

Charles era in cucina, aveva preso la pentola con la Jambalaya avanzata e l'aveva scaldato sul fornello, aveva accuratamente preparato la tavola con una tovaglietta, il tovagliolo, le posate e il bicchiere poi, invece di versare il cibo in un piatto aveva cominciato a mangiare direttamente dalla pentola, in piedi, accanto alla finestra, appoggiato alla parete con le gambe lievemente incrociate. Era bello mangiare così, quasi di nascosto, nel silenzio, mentre tutti dormivano … o quasi. Percepì Scott e i suoi pensieri prima che si palesasse in cucina.

"Vieni, Scott" disse "Hai fame?"

"No, grazie" rispose lui "Vorrei parlarle. Ha tempo?"

Charles finì di masticare il boccone e lo ingoiò.

"Direi che abbiamo da tempo superato la fase maestro/allievo. Dammi del tu e chiamami Charles" gli disse, prendendo con la forchetta altri pezzi di carne e peperoni.

"Come vuole … Volevo dire, come vuoi, Charles" disse, leggermente imbarazzato, lui gli sorrise per incoraggiarlo.

Charles lo osservò, sembrava diverso dal solito Scott che conosceva, che avesse paura di lui?

"Hai già cambiato idea?" gli chiese, vedendo l'esitazione nel suo sguardo "Poco fa hai detto che non avrei perso la tua fiducia qualsiasi cosa avessi detto."

"Sì, è così e non ho cambiato idea" rispose lui "Ma …"

"Hai qualche dubbio?" chiese Charles, ancora con la bocca piena.

"Poco fa ha detto che ha impedito per poco l'esecuzione di Erik …"

"Esatto."

"Le è capitato spesso?" chiese, cercando con cura le parole "Le è capitato spesso di dover decidere della vita o della morte di altre persone?"

Lo sguardo di Charles si allontanò, alla ricerca di ricordi lontani.

"Sì, è successo" rispose "Ma non sono mai stato favorevole, ho sempre cercato una soluzione alternativa. Certe volte ce l'ho fatta … altre no."
Abbassò lo sguardo, il peso di quei momenti si posò su di lui come un mantello nero.

"Però tu hai sempre cercato di impedirlo!" lo rassicurò Scott con energia "Non avresti voluto!"

Charles annuì, quasi del tutto convinto.

"Con Erik com'è andata?" chiese, incuriosito "Com'è riuscito a salvarlo?"

Charles rise di gusto scuotendo la testa.

"È stato imbarazzante, credimi!" fece una pausa e rise ancora "Mi sono sentito come un padre richiamato dal preside perché il figlio ha fatto l'ennesimo casino."

Scott scoppiò a ridere.

"Davvero si è sentito così?" chiese.

"Sì, davvero." Charles sorridendo "Mi sono impegnato di seguirlo e impedire che facesse altri danni in futuro, non è stato facile ma non l'ho mai sentito come un peso. In fondo Erik non è un uomo malvagio, lui è … lui è …"

Esitò, avrebbe potuto definire Erik con una sola parola? Sarebbe stata un'impresa impossibile. Sospirò e tornò a mangiare.

"Buonanotte, Charles"

"Buonanotte."

Charles continuò a mangiare, aveva fame ma soprattutto aveva bisogno di qualcosa per placare la mente, il silenzio della villa stava iniziando a diventare assordante, fu Erik a spezzarlo.

"Allora, cosa sarei io?"

Charles si voltò di scatto e vide l'amico che entrava in cucina.

"Hai origliato?"

"Sì … papà!" aggiunse, riferendosi alla battuta fatta poco prima dal telepate "Quindi tieni davvero a me" chiese ancora, dal momento che Charles non aveva risposto "Mi difendi di fronte ai membri degli Illuminati e mi salvi la vita nonostante tutto ciò che ho fatto, nonostante tutto ciò che ti ho fatto."

Charles attese ancora prima di rispondere.

"Se non avessi tenuto a te sarebbe stato molto più semplice, credimi."

Erik sembrò soppesare per qualche istante quelle parole, poi sorrise.

"Ti ringrazio."

Non era un semplice ringraziamento e Charles lo capì, era tutto un mondo, un'intera vita rivista sotto uno sguardo diverso.

"Quindi, cosa sarei io?" chiese, dal momento che ancora non aveva risposto a quella fatidica domanda. Charles restò in silenzio, serio, per qualche istante, poi scoppiò a ridere quando ebbe capito che la risposta era talmente semplice.

"Sei un idiota!"

Entrambi risero, una risata di cuore, sincera, lo specchio della loro amicizia.

"A proposito" disse poi, cambiando improvvisamente argomento "Puoi dirmi chi era quel tizio che ha spaventato tutti i suoi allievi poco fa? Quello con la tua faccia ma che non eri tu."

Charles si ammutolì di colpo.

"I-io cosa?"

"Li hai spaventati tutti" confermò "Non te ne sei reso conto? Anch'io ero basito. Cosa ti è preso? Eri veramente tu?"

Charles prese un boccone e iniziò a masticare mentre i pensieri vorticavano nella sua testa come fiocchi di neve durante una tempesata.

Cosa avrebbe dovuto rispondere? Quale sarebbe stata la risposta più corretta? Avrebbe potuto dirgli che, probabilmente, guardandosi allo specchio nemmeno lui si sarebbe riconosciuto, che insieme al suo corpo, al nuovo potere a ai ricordi era riaffiorato dal passato anche un aspetto del suo carattere che aveva sempre ignorato o semplicemente nascosto, avrebbe potuto dire che il dolore e la rabbia accumulati stavano esplodendo in una sola volta … poi la vide, l'unica possibile risposta, trasparente, cristallina, l'unica che potesse contenere tutte le altre, perché erano tutte vere. Ingoiò il boccone e lo guardò negli occhi, serio, consapevole.

"Sì, ero io."

Erik sorrise annuendo.

"Bene." disse "Bene."

Il signore del Magnetismo sospirò, soddisfatto della risposta dell'amico.

"Sai, se avessi vent'anni di meno ti proporrei di ubriacarci insieme per festeggiare, ma la mia età mi impone di andare a dormire adesso. Davvero."

"Buonanotte, amico mio" gli disse Charles.

"Buonanotte, Charles."

Charles osservò Erik uscire a passi lenti dalla cucina, poi tornò a concentrarsi sul cibo che, purtroppo, era finito. Sospirando decise che sarebbe stato meglio lavare la pentola, perciò si avvicinò al lavandino e aprì l'acqua aspettando che si scaldasse.

Mentre l'acqua e il sapone scorrevano tra le sue mani anche i suoi pensieri iniziarono a fluire: ricordi, emozioni, incontri, disastri, successi, tutti insieme iniziarono a trascinarlo come un fiume in piena e, prima che potesse rendersene conto, era arrivato in un oceano in tempesta: la sensazione fu terrificante, all'improvviso si ritrovò in cima a un'onda gigantesca, un senso di vertigine lo pervase: aveva bisogno di un'ancora, di un'isola dove prendere fiato.

Sciacquò rapidamente la pentola ormai pulita e a passo svelto raggiunse la sua stanza, sperava che Raven fosse ancora sveglia. Un bel respiro e aprì la porta, Raven era lì, sveglia, stava leggendo un libro illuminata dalla luce della lampada posata sul comodino.

"Sei sveglia …" mormorò, avvicinandosi.

"Ti aspettavo. Sentivo che avresti avuto bisogno di me."
Lui le sorrise e le andò incontro e anche lei si alzò dal letto per raggiungerlo in un lungo e caldo abbraccio. Lui ancora risentiva delle parole di Erik, non si era reso conto di aver spaventato tutti. Lui sciolse appena l'abbraccio per guardarla negli occhi.

"Raven … io …"

Lei gli sorrise e gli mise un dito sulle labbra, dito che tolse per poterlo baciare, un bacio dolce, appassionato, carico di comprensione, amore e passione.

"Dov'eravamo rimasti?"

Fu allora che Charles capì, capì che non c'era bisogno di parlare, che le loro anime, i loro cuori, erano già in sintonia: era lei la sua isola, il suo faro nella burrasca.

Più tardi Raven si era addormentata raggomitolata sotto la coperta mentre lui, totalmente scoperto, lasciava che la brezza che entrava dalla finestra accarezzasse il suo corpo nudo. Era supino, guardava il soffitto senza in realtà vederlo: aveva affrontato una tempesta ma, per quanto fosse stato spaventoso, era stato necessario per raggiungere una nuova consapevolezza.

Si ritrovò a riflettere sul suo nome, su quel nome che proprio Raven gli aveva dato: Professor X. All'inizio si era arrabbiato, poi aveva imparato ad apprezzarlo, a farlo suo, ora capiva che negli anni era diventato una prigione che lo vincolava a quel ruolo, il professore, il mentore, colui che non può sbagliare e che deve essere una guida per i suoi studenti. Era stato vero, almeno per un po', ma ora gli andava stretto.

Si mise a sedere, illuminato da una rivelazione. Lentamente si alzò e andò in bagno, si chiuse la porta alle spalle per non disturbare il sonno di Raven, andò davanti allo specchio e accese la luce per potersi osservare.

Era ormai chiaro e definitivo, non poteva tornare indietro: il Professor X era morto, non esisteva più, dalle sue ceneri però era nato un altro uomo, né migliore né peggiore, semplicemente diverso, un uomo che aveva il diritto di esistere e di reclamare la sua identità.

Si guardò con attenzione, felice, come se si vedesse per la prima volta.

"D'ora in poi sarò semplicemente X."

* Immaginate Albus Silente
** Ok, forse dovrei smettere di fare riferimenti ad Hazbin Hotel, ma Charles/Alastor mi faceva troppo ridere