Vi ho lasciati con il fiato sospeso, eh? Non preoccupatevi, presto tutto si risolverà, per il momento vi lascio ancora un po' di suspance …

26. Bianco e nero

Il poliziotto si avvicinò con passi rapidi a Charles e alla ragazza, mise a posto l'arma e tirò fuori due paia di manette, lui era incapace di muoversi per il dolore, lei per la paura. Per primo afferrò lui, gli prese un braccio, poi l'altro, infine lo ammanettò.

"Cercate di non fare resistenza e sarà tutto più facile" disse, spingendolo di nuovo a terra senza alcuna grazia e andando dalla ragazza per ammanettare anche lei.

"Non abbiamo fatto nulla per cui essere arrestati" disse Charles.

"No?" chiese il poliziotto "Stavi usando i tuoi poteri, Mutante!" esclamò, infondendo nell'ultima parola un tono disgustato.

"Per difendere lei!" rispose Charles "Le stavano per fare del …"

Il poliziotto gli diede un calcio sullo stomaco che gli tolse il fiato.

"Vi ho detto di non fare resistenza!"

Il poliziotto aveva già fatto alzare la ragazza e afferrò Charles per un braccio per costringerlo ad alzarsi a sua volta: il dolore delle botte lo fece barcollare ma l'uomo non mollò la presa e anzi afferrò il manganello e lo picchiò sul fianco con quello.

"Ti ho detto di stare zitto!"

Charles non reagì, si voltò verso la ragazza e notò, con sollievo, che era illesa.

"Muoviti!" gridò di nuovo il poliziotto "Vi porto al vostro posto!"

Charles e la ragazza lo seguirono verso la macchina, dove furono fatti salire con violenza e, una volta dentro, rimasero immobili e in silenzio per tutto il tragitto. L'uomo uscì fuori città e, notò Charles, li portò nello stesso centro dove erano detenuti anche i dieci mutanti arrestati pochi giorni prima.

Il transito dalla macchina alla cella fu ugualmente irruento, vennero spintonati per tutto il tragitto fino a quando li buttarono in una stanza chiusa, illuminata solamente da una piccola finestra in alto. Una volta dentro furono liberati dalle manette ma furono anche perquisiti e Charles fu costretto a togliersi il bracciale. Nonostante fosse consapevole che nessuno di loro sarebbe stato capace di aprirlo o danneggiarlo lo disturbava sapere che fosse nelle loro mani, inoltre non aveva nessun documento perché aveva lasciato il portafoglio dentro il casco della moto di Scott poco prima di andare in soccorso alla ragazza.

I due agenti che li avevano accompagnato terminarono di raccogliere i loro effetti personali in una scatola, uscirono dalla cella e la chiusero a chiave prima di allontanarsi a passo svelto.

Finalmente solo Charles si guardò attorno, nella piccola stanza c'erano due letti, lui si sedette su uno dei due e cercò di sistemarsi, per quanto glielo consentissero le ferite. A quanto pareva non aveva nulla di rotto ma diversi ematomi e tagli su tutto il corpo e un dolore insopportabile alla testa. Si sfiorò il labbro con due dita, c'era un profondo taglio sanguinante. Il suo viso si irrigidì in una smorfia di dolore e sentì che, accanto a lui, la ragazza aveva sussultato, impressionata.

"Sei stato molto coraggioso prima" disse "Ti ringrazio per avermi salvato."

"Figurati, non c'è di che" rispose lui con un sorriso tirato.

Charles si prese qualche istante per osservare la sua compagna di cella, i lunghi capelli biondi incorniciavano un viso magro e spaventato su cui luccicavano due occhi scuri, umidi di lacrime represse. Indossava abiti chiari, jeans e camicetta, abiti da turista, si chiese cosa ci facesse a New York.

"Sei un … un …" iniziò lei, alla ricerca della parola giusta.

"Un telepate. Sì, ho anche dei limitati poteri di telecinesi, ma sto cercando di svilupparli."

Si strappò un lembo della camicia e lo usò per tamponare il sangue sul viso mentre la osservava, era terrorizzata.

"Tu, invece? Quali poteri hai?" le chiese, giusto per rompere il ghiaccio.

La ragazza sprofondò nel terrore più assoluto, iniziò a tremare e scosse la testa.

"I-io non …" iniziò, ma la paura le tolse la parola.

Charles le posò una mano sulla spalla, nonostante lui per primo fosse spaventato voleva cercare di rassicurarla.

"Non aver paura" le disse, raccogliendo tutta la calma che possedeva "Sei giovane, forse hai scoperto da poco di essere una mutante? Ad essere sincero è un po' tardi, di solito si scopre poco dopo l'adolescenza e tu devi avere più di vent'anni."

"Ho ventisei anni" rispose lei "Ma deve esserci un'errore … io non … io non sono una mutante!"

Charles la fissò con occhi e bocca spalancati, la mano con cui teneva il fazzoletto pian piano si abbassò. Cosa stava succedendo? Aveva sentito distintamente il sensore suonare accanto a lei, doveva per forza essere una mutante … o no? Se davvero lei era una sapiens, perché il sensore aveva suonato? C'era stato un errore? Una percentuale seppur minima di falsi positivi avrebbe potuto compromettere l'intero progetto? Si prese qualche istante per osservarla, era terrorizzata.

"Aspetta, cosa vuoi dire? Non sei una mutante? Allora perché ti hanno attaccato?"

Lei scosse la testa.

"Non lo so!" rispose, mentre il suo corpo era scosso dai singhiozzi "Ero appena arrivata a New York, dovevo incontrare un mio amico, stavo passeggiando, quando si sono avvicinati quei cinque delinquenti! Avevano una specie di sensore che suonava, mi hanno chiamata 'Lurida mutante' e mi hanno spinta in quel vicolo. Il resto lo sai."

La ragazza si raggomitolò su se stessa.

"Io odio i mutanti, mi fanno paura." disse con un filo di voce.

Charles accusò il colpo, non sapeva nulla di lei, non sapeva cosa l'avesse portata ad avere paura dei mutanti ma poteva fare qualcosa per cambiare la situazione; sebbene avesse intravisto una soluzione ai suoi problemi, la reazione della ragazza alla sua presenza gli fece capire che in realtà era un miraggio e che la convivenza tra umani e mutanti era un traguardo ancora molto lontano.

"Be', io sono un mutante" disse con voce calda e rassicurante "Eppure non mi sembra di essere spaventoso."

Lei alzò lo sguardo, guardandolo con diffidenza.

"Poco fa mi hai ringraziato per averti salvata, no?" chiese "Cosa è cambiato?"

Lei distolse lo sguardo.

"Ora che sai che non sono una mutante mi farai del male …" disse lei, sempre evitando il suo sguardo.

Charles la fissò, scioccato, senza parole per ciò che aveva appena sentito.

"Mi percepisci come una minaccia?" le chiese.

"Poco fa hai fermato da solo cinque uomini. Ora hai quel collare e non puoi usare i tuoi poteri, ma se potessi …"

Charles rise piano ma subito si fermò perché anche ridere gli procurava dolore.

"Tu sei qui, di fronte a me, sai che sono un mutante. Se avessi in mano una pistola la useresti per uccidermi?"

Lei si voltò di scatto e finalmente lo guardò negli occhi.

"No! Certo che no! Non sono una bestia!"

Charles si strinse nelle spalle.

"Bene, non lo sono nemmeno io."

La ragazza distolse lo sguardo e andò a raggomitolarsi sul letto il più possibile lontano da lui, restò immobile per qualche istante, poi scoppiò a piangere.

"Ho paura …" mormorò "Non capisco più nulla …"

Charles si spostò sul letto per cercare una posizione più comoda ma comunque si mettesse sentiva dolore.

"Prova a parlarmi" le disse "Magari potrei aiutarti a sciogliere qualche nodo."

Lei non rispose subito, cercò di placare il pianto poi alzò lentamente lo sguardo, pur restando raggomitolata su se stessa.

"Sono cresciuta con il terrore dei mutanti" disse "I miei genitori mi hanno spiegato che sono dei mostri, degli esseri crudeli e senza cuore …"

"Scoprire che avevano torto ti sconvolge?" le chiese lui, senza riuscire a celare una vena polemica.

"Non … non lo so …"

Charles cercò di non ridere per non acuire il dolore delle ferite.

"Non puoi dividere il mondo in bianco e nero. Certo, è più facile, da una parte ci sono i buoni e dall'altra i cattivi, ma cosa vuol dire davvero? Come puoi giudicare un'intera specie? Credi che i mutanti siano pericolosi ma oggi hai avuto prova del contrario. Chi ti ha attaccata senza motivo? Chi ti ha incatenata e imprigionata? Chi invece ha tentato di aiutarti?"

Quelle domande galleggiarono tra di loro come bolle di sapone per qualche istante, poi esplosero.

"Vuoi dire che i veri cattivi sono gli umani e che i mutanti sono buoni?"

"No, assolutamente. Non tutti gli umani sono cattivi e non tutti i mutanti sono buoni. Inoltre, se vogliamo spingerci più in là, cosa vuol sa vuol dire 'buono'? Cosa vuol dire 'cattivo'? Sono concetti che vanno al di là della nostra comprensione. Non esiste il buono e non esiste il cattivo, esistono gli individui con le loro esperienze, i loro sentimenti e il loro modo di affrontare la vita."

Charles premette ancora il tessuto sulla ferita sanguinante e gemette appena per il dolore.

"Mi hai raccontato di essere cresciuta con la paura nei confronti dei mutanti. Ora ti racconterò una cosa: i primi segni di mutazione vengono fuori più o meno a ridosso dell'adolescenza, periodo che già normalmente è gravido di cambiamenti: il bambino inizia a sparire per lasciare posto all'adulto, nel frattempo deve convivere con il cambiamento che avviene nel suo corpo e nella sua mente. Tutto questo normalmente. Ora, immagina cosa accade a un mutante: non solo scopre di essere diverso da ciò che era prima ma anche di essere diverso da tutti coloro che gli stanno attorno. Molto spesso i giovani mutanti vengono cacciati di casa o sono costretti a fuggire, non hai idea di quanti ragazzi in queste condizioni abbia accolto nella mia scuola, confusi, impauriti … soli. Tu sei cresciuta con la paura dei mutanti, i mutanti crescono con la paura degli esseri umani. Quindi capisci ciò che voglio dirti? Ciò che ci divide non è la diversità in sé ma la paura. Se tutti cercassimo di andare oltre la paura e ad esplorare mondi nuovi forse le cose potrebbero cambiare."

Charles aveva parlato con trasporto, infiammato da quell'ardore che, nonostante tutto, non si era mai spento in lui; la giovane lo aveva ascoltato con attenzione, rapita dalle sue parole e dal suo entusiasmo, nel frattempo aveva sciolto il nodo di diffidenza che l'aveva portata a difendersi e si era aperta, senza rendersene conto si era alzata e si era andata a sedere accanto a lui.

"Non avevo mai visto le cose da questo punto di vista" ammise "Mi chiamo Sophie" aggiunse, porgendogli la mano.

Charles ricambiò la stretta con entusiasmo.

"Charles."

Lei rise.

"Perdonami, Charles" chiese, osservandolo con attenzione "Hai parlato di una scuola … la tua scuola?"

"Sì, sono il Preside." rispose lui.

"Il Preside? Addirittura? Si può sapere quanti anni hai? Credo più o meno la mia età … o sbaglio?"

Charles rise di gusto ma si interruppe, sempre distratto dal dolore delle botte. Non sapeva bene come risponderle, raccontarle la storia per intero sarebbe stato dispersivo. Si strinse nelle spalle.

"Può capitare che i mutanti appaiano più giovani di come in realtà sono."

"Quindi tu quanti anni hai?"

Charles stava per rispondere ma in quel momento sentirono dei passi farsi più vicini, qualcuno girò la chiave nella toppa ed aprì la porta. Entrò una guardia armata di manganello.

"Credevate di poter stare qui a fare i piccioncini?" chiese "Avanti, questo non è un hotel a cinque stelle. Alzatevi."

Entrambi obbedirono, Sophie cercò di aiutarlo ma la guardia intervenne.

"Hey, non toccatevi!" li ammonì, dividendoli usando il manganello "Non sperate di uscire qui tanto presto."

Charles riuscì ad alzarsi e affrontò la guardia a viso aperto.

"Posso sapere il motivo del nostro arresto? Perchè ci state trattenendo qui?"

La guardia lo colpì al fianco con una manganellata, Charles gemette per il dolore.

"Parli troppo fru fru per essere un mutante" gli disse con disprezzo "Non fare domande e non ti verrà fatto del male. Sono stato chiaro?"

Charles trattenne il fiato, sapeva che parlare ancora avrebbe portato ad altre botte ma non riuscì a trattenersi.

"C'è stato un errore" disse "La ragazza non è una mu-"

"TACI!" gridò ancora la guardia, dandogli una sberla in pieno viso, talmente forte da farlo andare a sbattere contro la parete "Ora verrete con me nella sala comune, ci penseranno quelli della vostra razza a trattarvi come meritate."

Sophie lanciò un'occhiata a Charles che, immobile, cercava di andare oltre il dolore. Lui le sorrise, cercando di rassicurarla, poi entrambi seguirono la guardia fuori dalla stanza.

"NON CI POSSO CREDERE!"

Scott era furioso, camminava avanti e indietro senza darsi pace. Davanti a lui c'erano Ororo, Erik, Raven, Hank, Logan e Jean. Era stata proprio lei a preoccuparsi per prima dell'assenza prolungata di Charles e sempre lei lo aveva trovato grazie a Cerebro.

"Non posso credere che proprio tu non voglia fare nulla!" disse, indicando con fare accusatorio Erik.

"Scott, devi cercare di calmarti" sussurrò Jean "Troveremo una soluzione."

"Una soluzione un cazzo!" gridò lui "E no, non mi calmo. Siamo alla follia! Alla follia! Dove hai detto che è Charles? In quella struttura dove sono stati portati i mutanti? Cosa vuol dire? Sta agendo di testa sua? È stato arrestato?"

"Sai benissimo che è stato arrestato" rispose Erik "Ma sai anche che, se lui fosse qui, non agirebbe con avventatezza. Dobbiamo aspettare, Scott."

"Che ne hai fatto del vecchio Magneto?" chiese Logan, quasi prendendolo in giro "Per caso è morto?"

Erik strinse i pugni.

"No, non è morto, anzi!" esclamò "Io più di tutti vorrei solo andare lì, sventrare quei muri e portare in salvo il mio amico! Ma …"

Erik si interruppe, iniziò a sua volta a passeggiare su e giù per la stanza, cercando le parole giuste.

"Nonostante tutto ho il massimo rispetto per Charles e per ciò in cui crede" disse "Stiamo camminando su un terreno delicato, se ora seguissi il mio istinto e andassi a liberarlo farei crollare tutto ciò che sta tentando di costruire. Per quanto la sola idea mi disgusti" proseguì, senza nemmeno tentare di celare i suoi veri sentimenti "Dobbiamo chiedere aiuto. Devo contattare Reed Richards, se davvero riuscirà a liberare quei dieci mutanti c'è la possibilità che faccia uscire anche Charles."

Il silenzio che seguì alle parole di Erik mise il punto alla questione.

"Inoltre" disse, cercando di trovare un po' di ironia in quella situazione disperata "Vi immaginate dover avere a che fare con Charles incazzato?"