Anche oggi devo fare due piccole premesse:
Spero che la storia di Lester non vi abbia annoiati, ciò che ha raccontato a Charles sarà descritto bene in uno spin off
Non so come si svolgono gli esami del DNA e quanto tempo ci voglia per farli ma, dal momento che questa è una storia dove ci sono persone che si trasformano in fumo e gente che legge nel pensiero i tempi saranno molto brevi.
34. Catarsi
Charles era già sveglio, aveva dormito poche ore ma gli erano bastate poi, dopo aver atteso dieci minuti con gli occhi spalancati ad osservare il soffitto, aveva deciso di alzarsi, aveava dato un bacio sulla fronte a Raven, che ancora dormiva al suo fianco, si era vestito ed era uscito dalla stanza.
Il sole non era ancora comparso all'orizzonte ma il cielo era già chiaro, Charles aveva deciso di fare una lunga passeggiata in giardino, non si aspettava di trovare nessuno così si era seduto su una panchina per godersi il fresco del mattino e per mettere ordine nei suoi pensieri.
La sera prima Hank gli aveva detto che era tutto a posto ma era davvero così o era solo una frase di circostanza per tranquillizzarlo? Era ancora immerso in questi ragionamenti e non si accorse che nel frattempo qualcuno si era seduto accanto a lui.
"Già sveglio?"
Si girò di scatto e vide Lester, sorrideva e guardava dritto di fronte a sè con un'aria di serenità che, in quel momento, gli invidiò.
"Credo di aver perso l'accento dopo tanti anni negli Stati Uniti" disse, senza voltarsi verso di lui "In realtà io vengo dalla Scozia."
Charles si voltò verso di lui e lo guardò sorpreso, Lester aveva iniziato a parlare di se stesso per un motivo? Si mise comodo e mentre lui continuava a parlare guardando dritto di fronte a sé lui lo osservava con attenzione.
"Sono nato e cresciuto a Glasgow insieme ai miei genitori, due fratelli minori e mia nonna paterna. Non eravamo molto ricchi e i miei genitori dovevano lavorare entrambi per pagare l'affitto e tutto ciò che era necessario per una famiglia di sei persone. Per questo motivo fu nostra nonna a crescerci: si occupava della casa, ci faceva da mangiare, si assicurava che i nostri abiti fossero sempre puliti e che noi studiassimo con impegno."
Lester si prese del tempo per ricordare, quei momenti spensierati erano ormai lontani e dal suo sguardo era evidente che ci pensava con nostalgia.
"Quando compii quindici anni mia nonna morì, lasciò un grande vuoto nelle nostre vite e soprattutto un grande cambiamento nella mia. Se prima dovevo solo pensare a studiare e a non cacciarmi nei guai, ora avrei dovuto prendere il suo posto. I nostri genitori continuavano a lavorare tutto il giorno così iniziai a fare ciò che faceva lei e, al contempo, a dare valore a ciò che prima davo per scontato. Non smisi di studiare, sia chiaro, la mattina andavo a scuola e il pomeriggio mi occupavo della casa, dei miei compiti e dei miei fratelli."
Un'altra pausa, gli uccellini cinguettavano allegramente sui rami degli alberi salutando il nuovo giorno ma lo sguardo di Lester si era impigliato in ricordi dolorosi.
"Passarono gli anni e io riuscii a diplomarmi. Sarò sincero, non era mia intenzione frequentare l'università ma mi sarebbe piaciuto viaggiare, vedere il mondo, fare nuove esperienze … cosa che purtroppo non accadde, non subito almeno. I miei fratelli erano minorenni e i miei genitori continuavano a lavorare tutto il giorno, così anch'io cercai un lavoro che mi potesse permettere di contribuire alle spese della casa e stare vicino alla mia famiglia come, a suo tempo, aveva fatto mia nonna. Trovai un posto come aiuto panettiere: mi svegliavo la sera alle undici, prendevo il motorino che avevo acquistato con i miei pochi risparmi e andavo al lavoro da mezzanotte alle nove del mattino; a casa mi riposavo fino a quando i miei fratelli tornavano da scuola, il pomeriggio badavo a loro fino a quando tornavano i nostri genitori, andavo a letto e dormivo fino alle undici. Era una vita monotona, ripetitiva, ma mi sentivo utile … o almeno così pensavo, nella mia testa si stava accumulando rabbia, frustrazione e rancore e io non me rendevo nemmeno conto. Poi accadde una cosa."
Lester si voltò verso Charles che lo guardava rapito dalle sue parole.
"All'epoca io già sapevo di essere un mutante e anche i miei genitori sapevano che avevo il potere di generare fumo dalle mani. Per mia fortuna non mi fecero mai sentire diverso ma, per aiutarmi nel mondo esterno, mi aiutarono a mantenere il segreto."
Charles annuì, comprensivo.
"Una sera, però, accadde qualcosa. Saranno state le nove e mezzo di sera, ero a letto, quando sentii suonare il campanello. Era strano che qualcuno venisse a trovarci a quell'ora così, insospettito, andai a vedere chi fosse: era la polizia."
Charles trattenne il fiato ma Lester scoppiò a ridere.
"L'agente spinse mio fratello Thomas in casa e ci comunicò che era andato a sbattere contro un muretto con un motorino. Il mio motorino. Thomas non si era fatto nulla ma il motorino era da buttare. In quel momento non ci vidi più, attesi che l'agente se ne andasse ed esplosi. Ricordo bene la sensazione che provai, tutto il mio corpo si trasformò in fumo, non sentivo più nulla: le mani, le braccia, le gambe, persino la testa! Tutto si era tramutato in fumo. Non era la sola rabbia per il motorino, erano tutte le emozioni che avevo represso fino a quel momento che uscivano tutte insieme. Fu in quel momento che scoprii il mio vero potere e capii che ancora non ero in grado di controllarlo. Non so se fu grazie alla voce di mia madre o alle sirene dei pompieri che erano stati chiamati dai vicini ma tornai in me, il fumo svanì e io ritrovai il mio corpo."
Lester scosse la testa ridendo.
"Quella sera mia madre non parlò a Thomas, a lui avrebbe pensato più tardi, si concentrò su di me e mi disse qualcosa che non dimenticherò mai. Mi disse che tutto ciò che accade ha un significato, se il motorino con cui andavo a lavorare era stato distrutto voleva dire che non era quello il mio destino, che non era quello il mio posto. Inizialmente pensai che volesse cacciarmi di casa, invece lei mi disse "So che desideri viaggiare, vedere luoghi nuovi e vivere tante esperienze, ciò che è successo oggi è segno che devi perseguire i tuoi sogni."
Lei era molto credente, io non credo al destino ma che la vita ci dà gli strumenti di cui abbiamo bisogno nell'esatto momento in cui ci servono e che stia a noi usarli nel modo giusto. Probabilmente se fossi partito subito dopo il diploma non sarei stato pronto, probabilmente avevo bisogno di quegli anni di esperienza. Quella sera stessa mia madre mi accompagnò in panetteria, attese fuori che firmassi il licenziamento e tornò a casa. Lavorai per altre due settimane e nel frattempo, oltre a continuare a fare ciò che avevo sempre fatto, iniziai a pianificare il mio viaggio, feci le valigie e, grazie ai miei risparmi e a quelli dei miei genitori e dei miei fratelli, comprai un biglietto di sola andata per New York."
Calò il silenzio, Charles aveva ascoltato il suo discorso con vivo interesse ma Lester arrossì lievemente.
"Con questo non voglio di certo dare una lezione di vita al Professor Xavier" disse grattandosi la testa imbarazzato "Solo penso che tutti abbiano bisogno di sentirsi dire che va bene anche essere deboli ogni tanto, che non dobbiamo per forza tenere tutto sotto controllo e che non è giusto reprimere ciò che proviamo, tutti noi, soprattutto chi deve essere più forte per gli altri."
Charles sorrise, aveva ascoltato con crescente emozione la storia di Lester. Aveva ragione, su molte cose.
"Ti ringrazio, avevo proprio bisogno di sentirmelo dire."
Lester sorrise a sua volta, rassicurato che quel lungo monologo non lo avesse offeso.
"La tua storia è molto interessante" disse Charles "Raccontami qualcosa di più, cosa ti successe quando arrivasti a New York?"
Lester scoppiò a ridere.
"Ah, ti annoierei!" rispose "È una storia molto lunga!"
Charles si mise più comodo sulla panchina.
"Tu comincia a raccontare, abbiamo tempo …"
Più tardi Charles rientrò per fare colazione, erano quasi le sette e mezza e cominciava a sentirsi affamato. Accompagnato da Lester si diresse verso casa e fu lì che trovò alcuni dei mutanti che nel frattempo si erano svegliati e lo salutarono con entusiasmo. Sembravano tutti felici di vederlo, gli venne spontaneo chiedersi se anche i suoi X Men sarebbero stati altrettanto contenti ma scacciò in fretta quel pensiero distruttivo. Una di loro si avvicinò.
"Il parco è meraviglioso!" esclamò "Ho dato un'occhiata e credo che si potrebbero fare grandi cose!"
Charles era di buon umore, le sorrise.
"Cosa avevi in mente?"
Lei arrossì, imbarazzata.
"Oh, certo … dunque … non voglio assolutamente farle i conti in tasca … volevo dire, farti i conti in tasca" si corresse, ricordando che lui aveva chiesto di dargli del tu "Ma noi siamo tanti e, sebbene la scuola sia progettata in modo impeccabile, credo che sia il caso di ampliarla."
Charles annuì interessato.
"Continua."
"Noi non siamo di certo degli studenti ma vorremmo comunque restare e credo che sarebbe bello prendere in considerazione l'idea di permettere anche ad altri mutanti di poter trovare qui un rifugio."
Charles era sempre più emozionato, sapere che qualcun altro comprendeva il suo lavoro a tal punto era entusiasmante.
"Mi chiamo Anne Brown e sono un architetto, potrei progettare una serie di appartamenti da costruire nella proprietà."
Charles annuì con entusiasmo pensando ai lingotti d'oro che avevano trovato nella camera blindata segreta del suo patrigno.
"I soldi non mancano e l'idea è meravigliosa. Per correttezza dovrei parlarne con gli altri ma hai già la mia approvazione!"
Gli occhi di Anne si illuminarono per l'emozione, nel frattempo altri si erano avvicinati a lui per potergli parlare e in quel momento si ricordò di dover prelevare i campioni dagli umani presenti ma i suoi pensieri furono interrotti dall'arrivo di David.
"Papà!" esclamò "Sei sveglio! Mi sembra che tu stia bene, vero? Bene!" aggiunse vedendolo annuire "Vieni con me, ti abbiamo preparato una sorpresa!"
Charles scoppiò a ridere e lo seguì poco distante dove, su un tavolino in giardino, era stata preparate una deliziosa colazione: caffè, latte, succo di frutta, pane e marmellata, frutta fresca, ma la parte migliore era costituita dalla presenza di Raven e Kurt, sorridenti e accoglienti.
"Riunione di famiglia?" chiese, sedendosi accanto a Raven.
"Tra pochi giorni partiremo, giusto?" chiese Raven.
"Credo che sia stata un'idea meravigliosa" commentò Charles iniziando a servirsi.
Charle si godette quei momenti, dopo la tempesta del giorno prima gli sembrò di aver trovato un'oasi di pace dove tutte le preoccupazioni erano svanite, almeno per un momento.
Più tardi Charles, rinfrancato dal cibo e dalla compagnia, tornò indietro e cercò i tre umani per poter parlare con loro. Temeva che lo respingessero dopo ciò che era successo ma notò che, al contrario, sembravano felici di vederlo.
"Come vi avevo anticipato ieri avrei bisogno di campioni del vostro DNA. Non sarà doloroso, ve l'assicuro, ma ho bisogno di capire perché il sensore funziona anche con voi quando è evidente che non siete mutanti."
"Non preoccuparti" lo rassicurò Sophie "Non abbiamo paura, siamo a tua disposizione."
"Venite" disse lui con un sorriso "Vi faccio strada."
Charles si chiuse nel suo laboratorio, i campioni dei tre umani erano sufficienti per i suoi scopi ma doveva sbrigarsi, tra poco sarebbe partito e aveva bisogno di trovare subito delle risposte. Aveva già avvertito Raven, David e Kurt che si sarebbe chiuso in laboratorio tutto il giorno per fare gli esami. Prima di tutto analizzò la saliva di David, c'era ancora una piccola percentuale di dubbio sul fatto che lui potesse essere suo figlio e voleva eliminarla del tutto; successivamente si occupò del DNA degli umani.
Lavorò tutto il giorno quasi senza sosta, dai risultati degli esami venne fuori che sì, David era effettivamente suo figlio, ma quella fu l'unica buona notizia di tutta la giornata, i risultati sul DNA degli umani avevano confermato una teoria che si era fatta strada nella sua mente, una teoria che si era rivelata una disastrosa e terrificante realtà. Lesse e rilesse più volte i risultati e i suoi appunti ma non c'era dubbio, era proprio così. Sentì la rabbia crescere dentro di sé insieme a un senso di panico e impotenza, ma stavolta non avrebbe ceduto, ripensando a ciò che lester gli aveva detto quella mattina decise che, piuttosto, avrebbe potuto sfogarla in modo costruttivo. Guardò l'ora: erano le sette di sera, ormai tutti gli studenti dovevano essere a cena ma lui non aveva fame, finì di sistemare i campioni e gli appunti e uscì dal laboratorio diretto alla stanza del pericolo, aveva bisogno di sfogarsi e quello gli sembrò il luogo perfetto per farlo.
Era appena entrato quando vide Logan che stava terminando di sistemare la stanza dopo una sessione di allenamento.. Non lo aveva visto per tutto il giorno, ovviamente perché lui stesso si era chiuso in laboratorio ma, osservando il suo sguardo, capì che anche lui lo avrebbe evitato. Un'ulteriore ondata di rabbia lo attraversò, non poteva dimenticare il dolore provato, fisico e mentale, quando Logan lo aveva trafitto con l'intento di ucciderlo e non poteva reprimere la rabbia che provava nei suoi confronti, nonostante fosse consapevole che lui stesse agendo con le migliori intenzioni. Chiuse la porta e gli si avvicinò.
"Logan."
Lui aveva fatto finta di non vederlo ma non poté più ignorarlo.
"Charles … io …"
Gli lesse nel pensiero, vide molti sentimenti contrastanti, vide che si era confrontato con Jean e che entrambi si sentivano dilaniati dai sensi di colpa e la cosa in qualche modo gli fece piacere.
Il piacere però fu presto oscurato dalla vergogna: davvero provava piacere per la sua sofferenza e per il suo senso di colpa? C'era un modo per poter sfogare la sua rabbia e allo stesso tempo aiutare lui a superare il suo disagio?
Charles era serio ma lentamente un sorriso gli illuminò il viso, si avvicinò rapidamente a Logan e, prima che lui potesse fare alcunché, gli diede un pugno in pieno viso.
Il colpo fu forte ma fece più male a lui che a Logan, gemendo per il dolore si massaggiò il pugno dolorante mentre Logan lo osservava preoccupato.
"Va tutto bene?" chiese con una voce che faceva capire che il pugno non gli aveva fatto nulla.
Charles non rispose, massaggiandosi le nocche gli venne in mente un'idea. Logan era intenzionato a farlo sfogare, sapeva di meritare quel trattamento, ma impallidì vedendo ciò che Charles stava per fare: dal pugno chiuso di Charles erano comparsi dal nulla tre artigli di adamantio e prima che Logan potesse capacitarsi di ciò che era successo lui si era avvicinato di nuovo e li aveva conficcati nel suo stomaco.
