Piccola premessa: non conosco i tempi di analisi del DNA, sicuramente ci vuole molto più tempo, ma visto che questa è una storia dove ci sono persone che leggono nel pensiero, che sparano raggi laser dagli occhi e che si trasformano in fumo allora facciamo finta che sia un processo rapido. Ovviamente sul discorso DNA inserirò un sacco di supercazzole, nello stile di Star Trek. Se qualcosa dovesse essere scientificamente corretto sarà per puro caso.
Mini
35. Luce e ombra
Logan trattenne il fiato ma il dolore che si era aspettato non arrivò. Abbassò lo sguardo, il pugno di Charles era ancora lì, conficcato a livello del suo stomaco, ma non usciva sangue, non c'era più traccia degli artigli di adamantio; sollevò lo sguardo e incontrò quello di Charles, beffardo e soddisfatto.
"Pensavi davvero che avessi gli artigli come i tuoi?" chiese "La paura può davvero oscurare il nostro cervello e una semplice illusione può ingannare facilmente."
Logan digrignò i denti per la rabbia.
"Mi hai preso in giro!" disse con tono accusatorio.
"Hai tentato di uccidermi." rispose Charles con voce piatta.
Logan aprì la bocca per rispondere ma c'era davvero poco che potesse dire, in quel momento, tutta la furia si spense in un istante. Quando Charles parlò Logan fu colpito sia dalle sue parole ma anche dal suo tono freddo e distaccato.
"Sono arrabbiato, Logan, davvero tanto. Mi avreste ucciso senza darmi alcuna possibilità di riprendermi e tornare in me, mi avreste eliminato come un problema troppo grande da affrontare."
Logan abbassò lo sguardo, Charles invece continuò a guardarlo, a scrutare dentro la sua anima.
"Nonostante tutto però" continuò "Sono consapevole del fatto che voi avete agito pensando unicamente al mio bene, per quanto doloroso potesse essere, vi siete fatti sopraffare dalle emozioni e io sono l'ultima persona che può vi rimproverare per questo."
Logan era ancora a disagio ma sapeva di dover parlare, di dover affrontare ciò che aveva fatto.
"A proposito …" iniziò Logan "Vorremmo parlare con te, tutti noi."
Charles si irrigidì, non era certo di volerli affrontare, fino a quel momento aveva visto solo Hank, Raven e Kurt … ma gli altri? Ororo, Scott … Erik. Guardò Logan, sembrava imbarazzato ma in lui non c'era traccia di ostilità. Si prese il suo tempo prima di rispondere, infine annuì.
"Ora?" chiese.
"Dopo cena, ora stanno tutti mangiando. Vuoi unirti a noi?"
Charles scosse la testa.
"Non ho fame, ero venuto qui perché ho bisogno di sfogarmi e …"
Esitò, vide che Logan lo stava fissando preoccupato.
"Vi spiegherò tutto più tardi."
Logan annuì anche se poco convinto.
"Sei sicuro di non voler mangiare qualcosa?"
"No, ti ringrazio, ora ho solo bisogno di restare solo."
"Come preferisci. Ci vediamo più tardi nel tuo ufficio?"
Charles annuì e gli diede le spalle, chiara richiesta di essere lasciato solo. Logan sospirò e silenziosamente uscì dalla stanza.
Un paio di ore più tardi Charles uscì dalla sua stanza, era riuscito a sfogare quasi tutta la rabbia nella stanza del pericolo e si era fatto una doccia veloce prima di andare nel suo studio dove immaginava che già lo stessero aspettando, cosa che scoprì essere vera quando aprì la porta.
Entrando sentì immediatamente una sensazione di disagio, tutti gli occhi erano puntati su di lui ma, nonostante fosse abituato al sentirsi osservato, in quel caso era piuttosto spiacevole. Fu Jean a parlare per prima.
"Charles, prima che tu dica qualsiasi cosa lascia che siamo noi a parlare."
Lui non aprì bocca e lei continuò.
"Avrei dovuto parlarti in privato, lo so" disse "Ma preferisco che tutti sentano. Ti devo le mie più profonde scuse, Charles."
Lui aggrottò le sopracciglia, decisamente non era ciò che si era aspettato.
"Ci siamo spaventati, tutti noi" spiegò, lanciando occhiate agli altri che annuirono.
"Non ti avevamo mai visto così" disse Hank "È stato … terrificante."
Charles si irrigidì ma non rispose.
"Avrei dovuto aiutarti" disse Jean tornando a guardarlo negli occhi "La realtà è che forse non ci ho nemmeno provato."
Logan abbassò lo sguardo.
"Ho provato, è vero, ma non abbastanza, ero troppo spaventata … io …"
Charles la osservò, nel suo viso c'era senso di colpa, rimpianto e ancora tanta paura, era evidente che vederlo in quello stato l'aveva riportata indietro nel tempo quando era stata lei ad aver perso il controllo, quando era stata incapace di gestire il suo potere e aveva disintegrato prima Scott e poi lui. Certo, erano riusciti a ristabilire la normalità, era riuscito a recuperare anche il corpo di Scott oltre al suo e anche lei era tornata in vita, ma di certo le ferite di Jean non si erano ancora rimarginate e il senso di colpa l'aveva paralizzata.
"Non è necessario che ti giustifichi" rispose lui "Ciò che provi è normale."
"Non è così!" rispose lei "Quando ebbi bisogno di aiuto tu non cercasti di fuggire! Cercasti di aiutarmi e questo quasi ti costò la vita!"
"Siamo stati dei vigliacchi, Charles" disse Hank "Fino ad ora ci hai aiutati e quando sei stato tu ad aver bisogno di noi ci siamo tirati indietro. Potrai mai perdonarci?"
Charles sospirò, la tensione era svanita, si lasciò andare in un lungo sospiro.
"Potrete voi perdonare me per avervi fatto spaventare?"
Hank sorrise e si avvicinò, lo prese per le spalle e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
"Non devi dirlo nemmeno per scherzo, Charles. Qualsiasi sia la cosa che devi affrontare non dovrai farlo da solo. È chiaro? Noi però non possiamo aiutarti se tu, per primo, non ce lo permetterai."
Hank ricordava le parole di David, il figlio di Charles aveva visto qualcosa dentro di lui ed era certo che, prima o poi, sarebbe tornato.
Charles sorrise e annuì.
"Ho bisogno di aiuto e non potrei immaginare di avere nessun altro al mio fianco se non voi."
I suoi occhi si velarono di lacrime ma non le lasciò uscire, li chiuse, lasciò che il momento passasse, inspirò profondamente e, quando si fu tranquillizzato, li riaprì.
"Bene" disse con voce calma ma seria "Ora che la questione è risolta credo che sia necessario parlare di problemi più … urgenti."
Tutti sembravano sollevati di dover cambiare argomento così decise di proseguire.
"Oggi pomeriggio ho fatto una scoperta che mi ha turbato."
"Riguarda gli umani che sono stati identificati come mutanti?" chiese Hank.
Charles annuì.
"Proprio così. Come sapete, il sensore che identifica i mutanti fu presentato da Bolivar Trask ne 1973 durante la conferenza per gli accordi di pace a Parigi; si trattava di un prototipo ma lui già ne stava producendo in serie per poterli usare come componente principale delle Setinelle."
"Me lo ricordo!" esclamò Hank "Dovetti iniettarmi diverse dosi del tuo siero per evitare di essere ucciso quel giorno a Washington!"
"Esatto. Dopo quel giorno le Sentinelle furono smantellate e così i sensori al loro interno, ma come sappiamo recentemente ne sono stati prodotti altri, simili a quello che Trask portò a Parigi."
Charles iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza per smaltire il nervosismo.
"Quando ho scoperto che Sophie non era una mutante e che c'erano altri non mutanti tra le persone arrestate ho pensato anzi, ho sperato che fossero dei falsi positivi; avere una percentuale più o meno alta di identificazioni errate avrebbe potuto darci una speranza, magari avrebbe fatto naufragare l'intero progetto, per questo ho fatto diverse analisi su campioni del loro DNA. Non so se i sensori fossero progettati in questo modo fin dall'inizio o se siano stati potenziati nel frattempo, ma ciò che so è che non si trattava di falsi positivi, non del tutto almeno."
Erik aggrottò le sopracciglia, confuso.
"Non capisco, sono falsi positivi o no? Quei tre sono mutanti o no?"
"Non sono mutanti, questo è evidente" rispose Charles "La questione è ancor più grave. Nel loro DNA è presente il gene X ma è recessivo, in parole povere quei tre non sono mutanti ma i loro figli hanno alte possibilità di poterlo essere."
Erik fischiò impressionato.
"Questo è molto peggio di quanto pensassimo!"
"È follia pura!" esclamò Scott "Cosa vorrebbero fare ora? Arrestare mutanti e non mutanti?"
"A me sembra tutto così assurdo!" disse Ororo.
Tutti avevano cominciato a parlare allo stesso momento, Charles si fermò e li fissò.
"Calmatevi. Tutti."
Bastarono queste parole per zittirli.
"Vi capisco, io stesso ho dovuto trascorrere più di un'ora nella stanza del pericolo per poter sfogare la rabbia ma alla fine sono riuscito a tornare in me e a ragionare."
"Charles, abbi pazienza, questa è una situazione senza speranza!"
"Non necessariamente" rispose lui pacato "Non se riusciamo a volgerla a nostro favore."
Charles raggiunse la sua scrivania e si sedette sul bordo.
"Pensateci, quali sono gli atteggiamenti degli umani nei confronti della questione dei mutanti? Parlo degli umani ostili, ovviamente."
Nessuno rispose.
"È ovvio che è sempre sbagliato generalizzare e in casi come questo è addirittura impossibile, ma riassumendo all'estremo la questione si possono trovare due reazioni: una attiva e una passiva. La reazione attiva è tipica di chi si fa questa domanda: io sono un mutante? No. Mia madre è una mutante? No. Mio padre? Mio fratello? Mia zia? Mio cugino? Il mio vicino di casa? Il mio amico? No. Bene. Dal momento che non vivo in prima persona il problema posso usare i mutanti come capro espiatorio per le frustrazioni che non riesco a gestire; da questo tipo di reazione nascono l'odio e la violenza che contribuiscono a creare un clima di terrore.
Dall'altra parte c'è la reazione passiva: in questo caso chi vive in prima persona ma non direttamente il problema dei mutanti tende a fuggire, a nascondere e a negare. Non avete idea del numero di genitori ai quali ho dovuto mentire perché nelle loro menti ho visto che, se avessero saputo che il loro figlio era un mutante, avrebbero reagito negativamente, alcuni di loro avrebbero preferito vederlo morto piuttosto che accettarlo."
Tutti si erano intristiti, erano consapevoli del fatto che ciò che diceva Charles era vero ma sentirlo era sempre doloroso.
"Quindi?" chiese Erik "Queste cose le sapevamo già."
"Quindi, Erik, cosa pensi che potrebbe succedere ora? Finora venivano perseguitati solo i mutanti perché era facile riconoscerli, ma se ora inizieranno a prendere di mira anche chi li potrebbe generare il problema riguarderà una percentuale sempre più ampia della popolazione. Chi prima si beava nell'illusoria convinzione che la cosa non lo riguardasse dovrà rivedere il suo punto di vista."
Erik aveva ascoltato in silenzio, più dubbioso che convinto.
"Credi davvero che sarà così?" chiese "Credi davvero che se anche gli umani venissero trattati come mutanti potrebbero provare empatia nei nostri confronti?"
Charles sorrise.
"Visto che anche tu ci sei arrivato, potrebbe essere, sì." rispose con tono ironico, poi però si fece serio "In realtà non lo so, Erik. Lo spero. Non posso fare altro che sperare."
Erik sbuffò ma non potè trattenere un sorriso: nonostante tutto Charles era sempre lui, il Professore non c'era più ma la Speranza era sempre lì, nei suoi occhi e nel suo cuore.
"A proposito."
Charles si alzò e andò dietro la scrivania, aprì uno dei cassetti, tirò fuori delle carte catastali e le aprì.
"Oggi ho avuto il piacere di parlare con Anne Brown. È una mutante ma soprattutto un architetto. In questi giorni ho avuto ben chiara la percezione che i mutanti hanno di questa scuola: la vedono come un'oasi nel deserto e in effetti è per questo che è stata fondata, per essere un luogo sicuro lontano dalla società. Questo però non è e non può più essere sufficiente. Se è l'ignoto che genera paura e odio non possiamo permetterci di chiuderci in noi stessi, dobbiamo aprirci. I tre umani che sono qui vorrebbero restare con noi, imparare, conoscere. Anne ha pensato che sarebbe utile costruire degli appartamenti all'interno della proprietà. I soldi non mancano e l'idea è fantastica, in questo modo questa scuola non sarebbe più un'oasi del deserto ma un porto di scambio, dove barattare conoscenza."
Charles parlava animato da una profonda emozione, dalla speranza che fluiva nelle sue vene, in tutto il suo essere. All'improvviso però l'entusiasmo fu leggermente oscurato da un velo di incertezza.
"Tra qualche giorno partirò. Non vorrei farlo in questo momento ma ho davvero bisogno di andare da T'Challa e sono certo che le conferenze che ho intenzione di tenere nelle Università potrebbero …"
Logan fino a quel momento era rimasto in silenzio e si era limitato ad ascoltare mentre fumava lentamente il suo sigaro che ormai si era spento, lo ripose sul posacenere e gli si avvicinò.
"Non preoccuparti, Chuck" rispose Logan "Sappiamo che non partiresti se non fosse necessario. Al di là di T'Challa e delle conferenze tu hai bisogno di tempo per te stesso e anche questo, fidati, è altrettanto importante. Hai bisogno di aiuto, giusto? Allora impara anche a delegare."
"Ce ne occuperemo noi." disse Ororo "Faremo un ottimo lavoro."
Tutti annuirono, Erik si rivolse a Raven.
"Te lo affidiamo" le disse facendole l'occhiolino.
Raven sorrise e così fece anche Charles sorrise quando lei lo abbracciò, dopotutto non era andata male, aveva temuto quell'incontro ma era andato tutto bene.
Più tardi Charles era disteso a letto insieme a Raven. Non avevano fatto l'amore, si erano semplicemente abbracciati e lui le aveva accarezzato dolcemente la testa fino a quando lei si era addormentata e anche allora non l'aveva lasciata andare, era rimasto così, con la sua testa posata sul letto, rassicurato da quel contatto.
Aveva gli occhi chiusi ma non era ancora riuscito a prendere sonno, era rimasto lì, nel limbo tra il sonno e la veglia, quando improvvisamente li vide: due occhi, rossi come il fuoco ma gelidi come il ghiaccio. Quella visione lo inquietò, ma la voce che sentì lo fece tremare di paura.
"Charles …"
La voce era roca, strascicata ma celava, dietro un'apparente debolezza, una potenza ben più minacciosa.
"Charles … sono qui Charles … non potrai fuggire per sempre …"
