Il titolo di questo capitolo è particolare, oltre ad avere un significato ai fini della trama c'entra anche con qualcos'altro. Chi indovina vince un bacio in fronte.

42. La Risposta

Tutti i presenti si voltarono verso Sherlock, nessuno a parte Charles si sarebbe aspettato quella svolta. Katie, una gracile giovane donna bionda e dagli angelici occhi azzurri, scoppiò a piangere; Anne, altrettanto magra ma con capelli castani e rassicuranti occhi verdi, aveva l'aria di avere almeno il doppio della sua età, continuava a massaggiarle la spalle per rassicurarla come avrebbe fatto una madre.

"Come le viene in mente una cosa del genere!" gridò "Non vede che è ancora sconvolta per aver trovato il corpo?"

Sherlock rise.

"Aveva una relazione con Alec Jones" spiegò Sherlock "Ieri sera lo ha visto provocare un'altra donna e non ha più retto, probabilmente non era la prima volta che doveva assistere a uno spettacolo del genere e quella di ieri sera è stata la goccia che ha fatto traboccare il suo vaso di gelosia."

"Era arrabbiata" confermò Anne "Ma non lo avrebbe mai ucciso!"

Sherlock sbuffò.

"Ovviamente la difendi, dal momento che sei stata sua complice!"

Anne impallidì ma aggrottò le sopracciglia.

"Non capisco io …"

Sherlock non la fece parlare.

"Abbiamo visto le registrazioni delle telecamere di sorveglianza" spiegò Sherlock "Ti abbiamo vista portare a Frank una caraffa di caffè e hai approfittato di quel momento per rubare la chiave della stanza delle telecamere. Una volta ottenuta la chiave hai disattivato le telecamere del quarto piano e di quello interrato e hai inviato un messaggio a Katie; Katie è uscita dalla sua stanza, ha preso l'ascensore fino al quarto piano e una volta lì è entrata nella stanza di Jones con il passepartout, lo ha brutalmente ucciso, è tornata indietro e, una volta al sicuro in camera, ti ha inviato un messaggio perché tu sapessi che potevi attivare le telecamere. Finito ciò che dovevi fare hai riportato la chiave a Frank con la scusa di chiedergli se gli servisse altro. Sarebbe stato il delitto perfetto se aveste pensato di oscurare le telecamere di tutti i piani, invece così facendo ci avete condotti proprio da voi. Siete state anche sfortunate a dir la verità, se Charles non vi avesse notate parlare ieri sera non avremmo saputo della relazione tra Katie e Alec. Inoltre" aggiunse, inclinando leggermente la testa e avvicinandosi a Katie per guardarla meglio "È riuscita a ripulirsi dal sangue, ma è rimasta ancora qualche macchia sul collo, dietro le orecchie."

Sherlock aveva parlato senza quasi prendere fiato, tutti lo ascoltavano ammirati, tutti tranne Charles, c'era qualcosa che non tornava, qualcosa che Sherlock non poteva sapere. Katie non disse nulla, sul suo volto si poteva leggere l'ombra della colpa, ma Anne era sempre pallida e impaurita.

"Non capisco!" gridò "Non potete aver visto me nei video! Io non ho mai lasciato la mia stanza! Lo giuro! Lo giuro!"

Frank scosse la testa.

"Ti ho vista, Anne." disse "Mi hai portato il caffè."

Anne guardò prima Frank, poi Katie, infine Sherlock.

"È assurdo! Mi ricorderei se lo avessi fatto, no?"

"Basterà analizzare i vostri cellulari" disse Sherlock pacato "Scopriremo i vostri messaggi anche se li avete cancellati."

Charles esitò ancora per qualche istante, poi non poté più trattenersi.

"Non troverete niente."

Tutti si voltarono verso di lui, Sherlock lo fissò infastidito.

"Ovviamente avranno cancellato i messaggi" disse, scocciato perché Charles aveva osato contraddirlo "Ma la polizia può facilmente rintracciare anche i messaggi cancellati!"

Charles scosse la testa.

"Non troverete nulla perché non c'è stato nessuno scambio di messaggi."

Sherlock sbuffò.

"Non è possibile!" esclamò "Katie doveva per forza essere in contatto con Anne per disattivare e riattivare le telecamere al momento giusto!"

Charles ignorò Sherlock e si rivolse a Frank.

"Frank, per caso Anne ti è sembrata diversa stanotte?"

Frank non si aspettava quella domanda e si prese qualche istante per riflettere.

"No, era la solita Anne … anzi …" il suo viso si illuminò "MI ha chiamato per nome!"

Sherlock alzò un sopracciglio.

"Questo dovrebbe essere strano?"

"Di solito mi chiama 'tesoro' o 'dolcezza' ma mai, mai per nome. Stanotte mi ha chiamato Frank."

Charles sorrise, soddisfatto, nonostante la febbre ancora alta sentiva che stava finalmente scoprendo cosa gli stava succedendo e questo lo riempì di energia. Sherlock sospirò.

"Questo cosa avrebbe a che fare con il caso? È ovvio che è stata Anne ad agire sulle telecamere per coprire Katie!"

Charles prese un profondo respiro, non sarebbe stato facile dire ciò che stava per dire, lanciò un'occhiata a Raven per trovare il coraggio, infine parlò.

"Fisicamente è stata Anne ad agire sulle telecamere" disse "Ma era controllata da Katie."

Raven trattenne il fiato, aveva capito cosa voleva dire Charles, Sherlock e Lestrade, invece si scambiarono uno sguardo confuso.

"Katie è una mutante" disse Charles "Una telepate. Lo so perché anch'io sono un mutante e sono un telepate e il suo potere ha interagito con il mio, facendomi venire la febbre per lo stress."

Raven sospirò di sollievo, almeno il malessere di Charles aveva finalmente un volto. Era stato audace da parte sua rivelare la sua identità, ma d'altra parte lo scopo del loro viaggio era anche quello, normalizzare la presenza dei mutanti, anche se in quel caso non facevano una bella figura.

"Mutante?" chiese Sherlock "Non esistono! Sono come l'uomo nero! Avanti, non vorrai dirmi che davvero credi di essere un mutante!"

"Sì, lo credo davvero."

Sherlock impallidì: Charles non aveva aperto bocca ma aveva sentito la sua voce dentro la sua testa.

"Sherlock?" lo chiamò John, vedendolo sconvolto.

"Lui … lui ha …"

"Ho comunicato con te telepaticamente" rispose Charles calmo "Ora mi credi?"

Sherlock, sebbene riluttante, annuì."

"I mutanti esistono" continuò Charles e usò la telecinesi per estrarre dalla tasca di Sherlock la sua lente e, mentre Sherlock e John la osservavano fluttuare in aria continuò "Katie era arrabbiata ed era intenzionata ad uccidere. Sapeva di aver bisogno di una complice e ha pensato a Anne, ma non voleva comprometterla o sapeva che non avrebbe accettato, perciò ha usato i suoi poteri per prendere possesso della sua mente e manipolarla come una marionetta. Per questo ha chiamato per nome Frank, perché non era Anne, era Katie."

Katie scoppiò a piangere ancora più forte, confermando le parole di Charles.

"È davvero andata così?" chiese Lestrade, rivolgendosi alla ragazza la quale, dopo un lungo silenzio, annuì. Lestrade sospirò.
"Molto bene. La dichiaro in arresto per l'omicidio di Alec Jones. Anne, lei si consideri libera, anche se effettivamente ha collaborato con l'omicidio non possiamo imputarle alcuna responsabilità. Giusto?" chiese, rivolgendosi a Charles.

"Giusto." rispose lui annuendo "Anne non ha memoria di ciò che è accaduto e non ha nessuna responsabilità."

Sherlock sembrò calmarsi, prese al volo la lente che ancora stava fluttuando.

"Credevo che fosse un caso banale" ammise "Un cadavere trovato in una stanza chiusa che si rivela essere un banale omicidio passionale ma che in realtà nasconde poteri mutanti? Be', è più interessante del previsto!"

Charles si accorse in quel momento di essere sfinito, si appoggiò alla parete respirando profondamente per non svenire.

"Charles!" lo chiamò Raven, poi si rivolse a Frank "Ha bisogno di stendersi, c'è qualche camera libera dove possiamo farlo riposare?"

Frank annuì e si rivolse a Lestrade che, nel frattempo, aveva ammanettato Katie.

"Posso anche liberare gli ospiti che stanno aspettando nella Hall?" chiese.

"Certo, ci penserò io, tu occupati di Anne, credo che ne avrà bisogno."
La donna era ancora seduta sul divanetto, pallida come un fantasma, Frank si sedette al suo fianco e le sussurrò qualcosa all'orecchio, quindi si alzò e andò da Charles.

"Mi segua" disse "La porterò in una stanza tranquilla. Vuole venire anche lei?" chiese a Raven.

"Certo. Andiamo."

Sherlock e John si avvicinarono a Charles.

"Ti ringrazio, Charles" disse Sherlock "Dopotutto è stato interessante. Spero di incontrarti ancora, in futuro."

"È stato molto interessante" confermò John "A parte la questione dei mutanti - che mi interessa moltissimo da medico - mi fa piacere che Sherlock non sia l'unico talmente folle da voler indagare su un caso di omicidio pur avendo la febbre!"

Charles rise, Sherlock sospirò offeso.

Charles li osservò, curiosò dentro la loro mente: in quella di John c'era la guerra, i morti, il desiderio di mettersi alla prova; in quella di Sherlock c'era un universo di conoscenza e ambizione ma anche qualcosa di oscuro, un segreto del suo passato di cui lui stesso era ignaro. Pensò a se stesso, al modo in cui anche lui aveva volontariamente dimenticato parti dolorose della sua infanzia. Avrebbe potuto parlargliene ma preferì lasciar perdere, prima o poi, con i suoi tempi, ci sarebbe arrivato.

"È stato un piacere anche per noi" disse Raven, prendendo Charles sottobraccio "Ora però lo porto a letto. Arrivederci."

Senza attendere risposta aiutò Charles a seguire Frank verso la stanza dove, sperava, avrebbe potuto finalmente riposare.

Charles era disteso a letto, la febbre era passata, da quando Lestrade aveva portato via Katie si era sentito subito meglio, era evidente che era stata proprio la sua influenza a fargli del male. Raven gli restò accanto tutto il tempo e lui lentamente si riprese.

"Mi puoi spiegare cosa è successo?" gli chiese "Perché hai voluto interferire? Eri … sembravi preoccupato."

Charles, che nel frattempo si era ripreso, si mise a sedere.

"Sarò sincero, Raven. Credevo di essere io l'assassino."

Lei lo fissò con gli occhi sgranati per la sorpresa.
"Cosa? Come avresti potuto? Non eri minimamente sporco di sangue e inoltre io sono stata con te tutto il tempo!"

Charles annuì ridendo.

"Lo so! Lo so! Ma stamattina non ero lucido e non ci ho pensato! Ero così confuso!"

"Perché pensavi di essere stato tu?" chiese "Cosa ti ha spinto a crederlo?"

Charles si prese qualche istante per rispondere, doveva mettere ordine tra pensieri e ipotesi.

"Katie" rispose lui "Lei è una telepate, da ieri i suoi poteri hanno iniziato a interferire con i miei, ero giù spossato per l'incontro con Gabrielle e ho perso il controllo dei miei poteri. Lei era così arrabbiata, aveva represso i sentimenti di gelosia e rabbia nei confronti di Alec per tanto tempo, entrare in contatto con la mia mente deve aver modo sbloccato quacosa e l'ha portata all'omicidio."

Raven lo guardava tristemente, sentiva che Charles, nonostante tutto, provava empatia per quella ragazza.

"Non è sano reprimere i propri sentimenti" disse "Per un telepate poi può essere pericoloso, possono ritorcersi contro ed esplodere e …"

Si bloccò, un pensiero gli attraversò la mente: cosa aveva fatto lui, durante la sua vita, se non reprimere quei sentimenti negativi che altrimenti lo avrebbero ferito? Cosa si celava dentro di lui? Cosa c'era dietro quegli occhi rossi che lo tenevano sveglio di notte? Tremò di paura, non aveva la forza di affrontare quei pensieri in quel momento. Si scosse, scacciò via ipotesi e pensieri troppo complicati.

"Ascolta, abbiamo il volo alle cinque oggi pomeriggio, ci incontreremo con T'Challa in piena notte. Che ne dici di fare un giro da qualche parte? Ho bisogno di distrarmi."

"Certo, se sei sicuro che possa farti bene. Dove vorresti andare? Qualche mostra d'arte? Un museo naturalistico …"

"Andiamo agli studios della Warner Bros?" chiese "Ho bisogno di qualcosa di allegro e totalmente estraneo a me, ho bisogno di ritrovare il me stesso bambino, lontano dai problemi del mondo degli adulti."

Raven rise, poi si fece seria vedendo che Charles non scherzava.

"Sei serio?"

Lui annuì.

"Va bene, va bene" rispose lei ridacchiando "Andiamo a Hogwarts!"

La giornata trascorse piacevolmente, senza il peso dei bagagli che erano già stati inviati all'aeroporto Charles e Raven si godettero quel viaggio magico, letteralmente. Entrambi erano abituati a vedere cose inusuali e fuori dal comune, i poteri dei mutanti nella maggior parte dei casi potevano assomigliare a una specie di magia, ma quel pomeriggio decisero di dimenticare tutto e di tornare bambini e divertirsi senza pensare ad altro se non a quel presente.

Il tempo volò e, prima che potessero rendersene conto, era giunto il momento di partire per il Wakanda; raggiunsero l'aeroporto e si imbarcarono, stavolta senza intoppi. Dopo cena Raven si addormentò, la prima classe a quell'ora era praticamente deserta e Charles ne approfittò per fare qualcosa che avrebbe dovuto fare da tanto, troppo tempo. Il pomeriggio trascorso nel mondo di Harry Potter lo aveva aiutato a superare almeno in parte la sofferenza patita nelle ore precedenti e ora si sentiva pronto per affrontare ciò che fino a quel momento aveva evitato.

Vedere l'oscurità che era uscita dalla mente di Katie e ciò che anche Sherlock stava reprimendo lo aveva messo con le spalle al muro e gli aveva fatto capire che non poteva più aspettare, doveva sapere.

Chiuse gli occhi ma non si addormentò, quando li riaprì era nella sua spiaggia, quel luogo dove dimorava la sua mente. Il sole stava tramontando all'orizzonte nella realtà e nella sua mente; il cielo, che in quel momento era sereno, si stava facendo sempre più scuro mentre la notte scendeva portando pace e silenzio. Era in piedi, indossava una camicia e dei pantaloni bianchi, di cotone leggero, i piedi nudi immersi nell'acqua della battigia.

"VIENI FUORI!" urlò con tutto il fiato che aveva in gola "SO CHE CI SEI! ESCI FUORI E AFFRONTAMI SE NE HAI IL CORAGGIO!"

Per qualche istante gli rispose solo lo sciabordio delle onde contro le sue caviglie poi, dalla sabbia bagnata di fronte a lui emerse una figura umana, indossava un'armatura di un rosso scuro con un mantello che gli ricordò quella che indossava Erik e anche l'elmo era identico a quello che il suo amico usava per schermarsi dai suoi poteri telepatici. Al di sotto dell'elmo Charles vide due occhi rossi, luminosi nell'oscurità.

"Chi sei?" chiese intimorito.

La misteriosa figura alzò le mani e si tolse l'elmo, rivelando il volto di Charles.

"Non lo hai ancora capito?"