Capitolo VI: Una fuga audace
Alisa Malatesta non era una delicata damigella incapace di prendersi cura di se stessa. Figlia unica ed erede del ricco ed intelligente Galeotto, Conte di Valdastico, era stata addestrata a condurre, non a essere condotta, e le erano stati dati gli strumenti per difendersi da sola, sia a parole sia con un'arma, l'arco. Inoltre, aveva una certa dimestichezza anche con i pugnali, e portava sempre con sé uno stiletto, ben nascosto nel corsetto, giusto in caso di necessità.
Per quanto fosse forte e determinata, tuttavia, la minaccia di stupro da parte di Bembo aveva profondamente sconvolto Alisa. Lottò per riprendere il controllo e calmare le sue gambe tremanti; quando ci riuscì, si alzò e si diresse alla finestra. Aprì un pannello e, appoggiandosi al davanzale, inalò profondamente la fresca aria proveniente dalle campagne di Asolo. Poco a poco, il suo terrore si acquietò, almeno a sufficienza da farla respirare di nuovo normalmente e non provar nausea.
Si lasciò cader seduta su una sedia vicina, la finestra ancora aperta. Lì, attese che la sua mente si rischiarasse ed il cervello tornasse a lavorare propriamente.
Alisa sapeva che Jacques non si sarebbe fermato davanti a niente per salvarla. Tuttavia, era abituata a prendere le cose nelle proprie mani e non avrebbe aspettato passivamente che lui arrivasse. Se c'era una via per fuggire dal castello e dalla città, lei doveva trovarla.
Ancora una volta, Alisa si sporse dal davanzale per guardare giù. Una discesa di otto o nove metri al cortile, giudicò. Troppo per saltare senza rompersi almeno una gamba, anche se si fosse calata fuori dalla finestra per tutta la lunghezza delle braccia. Senza una corda, non ce l'avrebbe mai fatta in modo sicuro.
Stringendo le labbra, delusa, Alisa si girò e studiò la lussuosa camera.
Gli occhi le caddero sul letto a baldacchino.
Un'idea le attraversò la mente come una stella cadente: ma certo, le lenzuola! Poteva stracciarle, riducendole in strisce, poi legarle assieme creando così una corda improvvisata!
Andò al grande letto e ne tirò indietro la copertura di velluto. Lenzuola di fine lino coprivano il materasso, con grande piacere di Alisa perché il tessuto di lino è molto resistente. Si affrettò a tirar via dal letto entrambe le lenzuola, poi rimise il copriletto così se qualcuno fosse entrato non avrebbe capito cosa stava facendo. Sedendosi sul bordo del letto con la schiena rivolta alla porta, pronta a spingere le lenzuola e le strisce sotto di esso se fosse arrivato qualcuno, Alisa pescò lo stiletto dall'interno del corsetto e fece un taglio nel primo lenzuolo, strappandone una lunga striscia. Quando terminò, annodò strettamente ciascun pezzo all'altro, la corda risultante era molto più lunga di quanto le occorresse, così per maggior sicurezza, Alisa la intessé in una specie di treccia. Alla fine, aveva creato una fune molto forte da cui poteva calarsi in sicurezza.
Soddisfatta, Alisa arrotolò la corda e la spinse sotto al letto: tentare la fuga in pieno giorno non avrebbe portato a nulla, giacché sarebbe stata immediatamente scorta. Pertanto, avrebbe dovuto attendere il calare della notte.
Le ore passarono lentamente. Alisa approfittò della forzata inattività per riposarsi, facendo anche un sonnellino o due ma restando costantemente all'erta.
Mentre il sole stava calando, gettando un caldo bagliore aranciato su Asolo, giunsero due giovani cameriere, portando cibo e bevande. Sembravano entrambe a disagio, persino intimidite.
"Avete… avete bisogno di qualcos'altro, mia signora?" una di loro domandò nervosamente.
Dispiaciuta per le cameriere, che erano innocenti della malvagità del loro padrone, Alisa scosse la testa. "Non ho richieste per ora, ragazze", disse loro in tono gentile.
Le due fanciulle le fecero la riverenza ed uscirono in fretta. Alisa si girò verso il vassoio di cibo che avevano appoggiato sulla scrivania e lo scoprì. Un delizioso odore di montone arrosto e verdure stufate le solleticò il naso, ed improvvisamente si rese conto che stava morendo di fame. Dopotutto, non aveva mangiato nulla dalla colazione. Poiché doveva comunque attendere il buio, poteva anche mangiare, prendendo solo acqua e lasciando stare il vino, perché doveva mantenere le proprie facoltà fisiche e mentali al massimo livello.
Cadde la notte, ma Alisa attese ancora, volendo che le servitrici venissero a prendere i vassoi per non rischiare che scoprissero la sua fuga troppo presto. Una delle cameriere che aveva portato il cibo infine arrivò.
"Posso aiutarvi a prepararvi per la notte, mia signora?" domandò, sempre a disagio come la prima volta.
"No, grazie", rispose Alisa, nascondendo la sua agitazione sotto una falsa calma. "Farò da sola."
La ragazza senza nome le fece la riverenza ed uscì.
Nuovamente sola, Alisa continuò ad attendere. La pazienza non era uno dei suoi punti di forza, ma adesso ne aveva bisogno, perché per essere più al sicuro possibile, doveva aspettare che gli abitanti del castello andassero a dormire prima di fare la sua mossa.
Infine, appena prima di mezzanotte, Alisa giudicò che fosse tempo. Infilò la gonna del suo abito nella cintura, ringraziando che per l'ispezione al vigneto aveva scelto un abbigliamento pratico, e stivali invece di scarpe.
Spense tutte le candele, poi aprì la finestra. La fresca aria della notte la colpì in faccia ed Alisa fu lieta d'aver intrecciato i suoi lunghi capelli, così non le sarebbero caduti negli occhi. C'era una sottile luna crescente alta in cielo, che gettava a malapena abbastanza luce per vederci.
Alisa assicurò la corda improvvisata al candelabro di ferro fissato alla parete di fianco alla finestra. Per buona misura, la tirò forte per verificarne la resistenza. Soddisfatta del risultato, Alisa guardò in basso verso il cortile immerso nell'oscurità, per essere sicura che nessuno fosse in vista, poi calò la fune fuori dalla finestra. Sedendosi sul davanzale, si girò e buttò fuori le gambe. Stringendo saldamente la fune improvvisata, Alisa si calò dalla finestra con prudenza e cominciò lentamente a discendere.
Aveva quasi raggiunto il suolo, quando udì una voce maschile chiamare il suo nome dall'alto. Si immobilizzò col cuore in gola.
OOO
Nel suo travestimento da comune bracciante, Jacques si aggirò per i corridoi del castello, tenendo bassa la testa per evitare sospetti, mimetizzandosi il più possibile. Il cuore gli batteva forte mentre cercava Alisa, gli occhi acuti che non trascuravano niente.
Aveva sentito sussurri di una signora forestiera che veniva tenuta in una delle camere di sopra. Doveva essere Alisa, pertanto Jacques si mosse cautamente verso il piano nobile, sperando di non essere arrivato troppo tardi.
Mentre si muoveva furtivamente attraverso i passaggi poco illuminati, passò per un loggiato ed un movimento indistinto sul muro che faceva angolo attirò la sua attenzione. Sembrava una fune che pendeva da una finestra spalancata del piano appena sopra quello dove si trovava lui.
Perplesso, Jacques si fermò ed aguzzò gli occhi: con sua enorme sorpresa, vide nientemeno che Alisa che stava lentamente calandosi da quella che apparentemente doveva essere una corda improvvisata con delle lenzuola.
Il cuore di Jacques fece un balzo. Senza pensarci, si sporse oltre la balaustra nella tenue luce lunare e, attento a non attirare l'attenzione, chiamò il suo nome sottovoce dal piano di sopra. "Dama Alisa!"
Alisa guardò verso l'alto, fissando gli occhi sulla figura nella balconata sulla parete che faceva angolo. Nonostante la scarsa luce, riconobbe immediatamente Jacques. Inoltre, avrebbe riconosciuto la sua ricca voce baritonale tra un milione d'altre.
Il sollievo che provò fu talmente forte che quasi perse la presa sulla corda che aveva così ingegnosamente fabbricato. Era arrivato! Ne era stata assolutamente sicura, ma la vista di lui davvero presente, in carne ed ossa, venuto in suo soccorso, le fece salire le lacrime agli occhi e chiudere la gola. La sua reazione fu tanto inaspettatamente forte che se ne chiese il motivo. Tuttavia, questo non era il momento di fermarsi e ponderare; pertanto, Alisa fece un profondo respiro per riprendersi e segnalò a Jacques con un rapido cenno affinché la incontrasse dove sarebbe atterrata.
Jacques comprese il significato del suo gesto ed annuì, ritirandosi dalla balaustra per evitare di essere scorto. Si mosse rapidamente ma silenziosamente attraverso i corridoi per raggiungere il cortile sottostante.
Mentre si affrettava giù per le scale tortuose, la sua mente correva. Si era aspettato di trovarla rinchiusa da qualche parte, probabilmente sorvegliata, ma eccola qua che già stava effettuando la sua evasione con rimarchevole intraprendenza. Un sorriso apparve sulle sue labbra perfino nel bel mezzo del pericolo. Che donna! Non avrebbe trovato un'altra come lei neppure in un milione d'anni.
Quando infine raggiunse il cortile, si mosse tra le ombre ed attese, il cuore che gli martellava in petto mentre scrutava l'area in cerca di eventuali segni delle pattuglie di guardia.
Agilmente, Alisa riprese la discesa ed infine arrivò a terra. Un'occhiata alla corda di lenzuola le confermò che l'oscurità l'avrebbe nascosta fino all'alba; rapidamente, si mise al riparo tra le ombre e si guardò attorno per avvistare Jacques.
Occorsero solo pochi minuti prima che Jacques arrivasse, ma ad Alisa sembrò un'eternità.
Quando le si avvicinò, per un momento Alisa provò il desiderio di abbracciarlo per mostrargli la sua gratitudine, ma tenne sotto controllo il suo impulso perché, ancora una volta, non era il momento.
Infine raggiuntala, Jacques non poté trattenersi dall'afferrarle le mani. "Siete incredibile", sussurrò, la voce colma di sollievo e meraviglia. "Sapevo che non ve ne sareste stata con le mani in mano, ma questo… Non mi aspettavo che avreste preso le cose nelle vostre mani in modo così risoluto."
La sua ammirazione emozionò Alisa, ma di nuovo mise da parte i suoi sentimenti. Mentre ancora riprendeva fiato, gli rivolse un piccolo sorriso di trionfo. "Sapevo che sareste venuto, ma non volevo godere dell'ospitalità di Bembo neanche un momento più del necessario."
Jacques rise piano alla sua battuta, scuotendo la testa ammirato. Perfino nel bel mezzo del pericolo, il suo spirito emergeva indomito. "Certo che no", sghignazzò. "Andiamocene via di qui prima che qualcuno ci veda."
Le fece cenno di seguirlo, ed assieme si mossero furtivamente lungo il perimetro delle mura, usando le ombre per coprire i loro movimenti. Jacques aveva dedicato abbastanza tempo, durante il lungo pomeriggio, ad osservare le procedure delle guardie per sapere quale fosse la via migliore, ma dovevano essere prudenti. La fortezza era pesantemente sorvegliata, e qualsiasi mossa sbagliata li avrebbe portati al disastro.
Dopo il loro fin troppo breve momento di pausa, le cose divennero rapidamente serie mentre sgattaiolavano attraverso il cortile verso il cancello senza che le sentinelle li scorgessero. Il cancello era aperto, giacché si era in tempo di pace, ma due armigeri stavano costantemente di guardia e non c'era modo di passare senza essere visti.
Jacques si fermò, e così fece Alisa dietro di lui. Il capitano indicò le due guardie, che erano in piedi nel passaggio, rivolti all'esterno.
"Non c'è modo di superarli inosservati", Jacques considerò sottovoce.
Alisa ponderò la situazione per un momento. "Ho un'idea", rispose poi, anche lei con voce appena udibile. "Fingete di essere ubriaco. Cammineremo verso di loro mentre vi sostengo. Quest'abito è abbastanza semplice da farmi passare per una cameriera. Quando siamo abbastanza vicini, li stordirete."
Jacques esaminò il suo piano. Non ne aveva uno di migliore, e poteva effettivamente funzionare perché era semplice ma astuto. Sogghignò. "Facciamolo."
Piazzò un braccio attorno alle spalle di Alisa e lei a sua volta ne mise uno attorno alla sua vita. Cominciarono a camminare verso il cancello, con Jacques che fingeva di traballare sulle gambe. Alisa dava a vedere di faticare a tenerlo dritto; cominciò perfino a brontolare, lamentandosi riguardo a uomini grandi e grossi incapaci di reggere l'alcol, in tal modo rovinando il divertimento, e Jacques faticò a non ridere. Che donna incredibile!
Udendo il loro tutt'altro che silenzioso approccio, le due guardie si girarono, un po' sorprese, ma dopo il primo momento, si limitarono a sghignazzare. "Troppa birra e belle ragazze non vanno d'accordo, amico!" uno di loro esclamò ridendo sguaiatamente.
"Non dirlo a me!" Alisa sbuffò, ostentando disappunto. "Mi ha promesso di farmi divertire, ma a quanto sembra, non credo proprio che succederà!"
"Beh, puoi mollarlo e divertirti con me, ragazza", suggerì l'altra guardia con una risatina volgare.
"Pronto", Jacques l'avvertì sottovoce.
"Ti piacerebbe!" Alisa gettò al soldato che si era proposto, e Jacques gli saltò addosso, stendendolo con un robusto pugno dritto sul naso. Allo stesso tempo, Alisa si buttò contro l'altra guardia, brandendo il suo pugnale per distrarlo, in modo da impedirgli di gridare l'allarme. Funzionò, perché istintivamente l'uomo pensò solo a difendersi estraendo la spada, ma Jacques gli fu addosso un istante dopo, sbattendolo contro il muro dietro di lui con una potente spallata.
Constatando lo stato d'incoscienza di entrambi gli armigeri con lo sguardo, Jacques afferrò la mano di Alisa e la tirò con sé. "Presto, da questa parte!"
Scattarono fuori dal cancello e lungo la strada principale verso Il Buon Boccale, la taverna dove le guardie di Valdastico stavano con ogni probabilità aspettando Jacques.
Giuliano era stato previdente ed aveva ordinato che a turno tenessero d'occhio l'ingresso alla fortezza. Pertanto, non appena Carlo, l'uomo di guardia in quel momento, li scorse, lo segnalò agli altri all'interno e, appena pochi secondi dopo, erano fuori ad incontrarli.
"Dama Alisa! Capitano Le Gris!" Giuliano esclamò piano, sollievo evidente nella sua voce. "Sono così felice di vedervi entrambi sani e salvi!"
Alisa fece un gran sorriso ai suoi armigeri, grata oltre ogni dire per la loro incrollabile lealtà. "Che bello vedervi", disse in un sussurro appena abbastanza forte da farsi sentire da loro.
Jacques si concesse un solo momento per annuire la propria approvazione a Giuliano. "Com'è la situazione alle porte della città?" si informò.
"Ben custodite", riferì il sergente, senza sorpresa. "Temo che dovremo combattere duro per uscire."
Alisa aveva udito lo scambio. "A meno che non aspettiamo il mattino e usciamo con i braccianti che vanno a lavorare nei campi?" suggerì.
Jacques si girò verso di lei. "Sarebbe una buona idea", concesse, "ma presto troveranno le guardie che abbiamo stordito al cancello della fortezza, o riprenderanno conoscenza e daranno l'allarme."
La contessa fece una smorfia. "Mi spiace, non ci avevo pensato."
Jacques scosse la testa e le fece un sorriso comprensivo: dopotutto, lei non era una stratega. "Avanti, muoviamoci", ordinò poi, riprendendo il comando.
Cominciarono a camminare velocemente, senza correre per non rischiare di attirare troppa attenzione. La loro fortuna durò finché non giunsero in vista delle porte della città, quando udirono campane d'allarme in lontananza, dalla direzione della fortezza. Immediatamente, videro le sentinelle delle porte scattare in azione, arrivando numerose a rafforzare la guardia con le spade sguainate. Scorgendoli, si misero a correre nella loro direzione.
Rapidamente, Jacques si mise davanti ad Alisa per proteggerla. "Tenetevi pronti", disse sottovoce, sia a lei sia agli armigeri di Valdastico, mentre sfoderava la spada che aveva tenuto nascosta sotto il mantello.
Carlo preparò l'arco, mentre Giuliano e Beppo, il terzo uomo, sfoderavano le loro lame, preparandosi al combattimento.
Alisa, sempre intraprendente, esaminò gli attaccanti. Una delle guardie portava un arco ed una faretra piena di frecce sulla schiena.
In quel momento, Jacques segnalò ai suoi uomini di attaccare; Alisa ne approfittò e scattò di lato, fingendo di cercar riparo, ma invece, dopo pochi passi, si girò improvvisamente e si lanciò verso l'arciere. Distratto dagli armigeri di Valdastico che stavano caricando a testa bassa i suoi commilitoni, l'arciere non la notò. Si tolse l'arco dalla spalla per incoccare una freccia, ma in quel momento, Alisa gli arrivò addosso con tutto il suo peso. Come investito da un ariete, l'uomo venne sollevato di qualche centimetro dall'acciottolato e cadde pesantemente sulla schiena. Alisa gli strappò abilmente l'arco dalle mani e lo usò come un randello per colpirlo duramente in faccia, facendogli perdere i sensi. Si impadronì della faretra, incoccò una freccia e si voltò, scrutandosi attorno cercando avversari in avvicinamento.
Jacques si scontrò di spada con due delle sentinelle, i suoi movimenti affilati e precisi. Parò i loro colpi con la facilità derivata dalla pratica, la lama che lampeggiava nella luce lunare mentre respingeva uno degli uomini. L'altra guardia si slanciò verso di lui, ma Jacques si mosse rapidamente di lato, incastrando la spada dell'altro uomo con la propria e disarmandolo con un movimento a spirale. L'armigero barcollò e, con un colpo rapido ed energico, Jacques lo buttò a terra, incosciente.
Una freccia sibilò attraverso l'aria vicino all'orecchio di Jacques. Si voltò di scatto e vide un armigero, che lo stava attaccando alle spalle, vacillare e cadere a terra con un pesante tonfo, una freccia infilzata nella coscia. Jacques sollevò lo sguardo verso Alisa, che stava già incoccando un'altra freccia con espressione calma e concentrata.
Non l'aveva neanche vista impadronirsi dell'arco che stava brandendo. Come diavolo c'è riuscita? si domandò in un lampo, ma non poteva preoccuparsene adesso.
"Ottimo tempismo", le gridò, parando un altro attacco mentre Alisa scoccava un'altra freccia con la sua solita consumata perizia.
"Grazie!" gli gridò Alisa di rimando senza perdere la concentrazione.
Anche Giuliano e Beppo stavano combattendo valorosamente, eliminando un nemico dopo l'altro, mentre Carlo ed Alisa continuavano a scoccare frecce, impedendo a chiunque di attaccarli alle spalle.
Assieme, respinsero le guardie di Asolo, ciascuno lavorando in perfetto accordo con gli altri, Jacques, Beppo e Giuliano deflettevano e colpivano con le spade, abbattendo gli attaccanti che tentavano di circondarli, mentre Alisa e Carlo scoccavano freccia dopo freccia, ognuna che trovava il suo bersaglio con impeccabile accuratezza. Le guardie caddero una ad una, ma altre ne arrivavano. Non c'era tempo da perdere.
"Dobbiamo muoverci!" urlò Jacques, bloccando un altro pesante colpo da parte di uno degli armigeri, prima di ferirlo al petto.
Consapevoli che la loro unica opzione era aprirsi la strada combattendo, i cinque di Valdastico raddoppiarono gli sforzi.
Con feroce determinazione, Jacques caricò in direzione della porta esterna. Senza pensare, Alisa lo seguì da presso. Lottarono fianco a fianco, i movimenti sincronizzati mentre procedevano assieme ad aprirsi la strada fuori dalla città. Si muovevano in sintonia, spada ed arco, lavorando insieme di concerto per lo scopo comune, il cavaliere francese aprendo varchi attraverso i nemici, la nobildonna veneta fornendo copertura, le frecce che solcavano l'aria con letale precisione, in una straordinaria replica di quello che avevano fatto durante lo scontro nei boschi di Arvonchi sulla strada per Aquileia.
Gli altri tre armigeri di Valdastico imitarono il loro esempio e, con un urlo selvaggio, li seguirono nella mischia, combattendo come leoni.
I loro sforzi pagarono quando, pochi secondi dopo, si precipitarono fuori dalle porte della città. Le restanti guardie asolane esitarono, riluttanti a dar loro la caccia nella fitta foresta davanti a loro, probabilmente temendo che i fuggitivi avessero rinforzi che li stavano aspettando. I cinque di Valdastico colsero l'opportunità e corsero a rotta di collo verso la copertura della selva. Scomparvero tra gli alberi, il fiato corto per l'intensa battaglia ma i loro spiriti indomiti.
Una volta nascosti al sicuro nel folto del bosco, si fermarono per riprendere fiato. Jacques si appoggiò ad un albero, tergendosi il sudore dalla fronte. Guardò verso Alisa, che sembrava esausta, ma che stava ancora stringendo ferocemente l'arco in mano.
"Siete veramente notevole", disse Jacques, la voce colma d'ammirazione. "Non avrei mai pensato di vedere una nobile dama combattere con tanta abilità e determinazione."
La sua lode compiacque Alisa molto più di qualsiasi altro complimento avesse mai ricevuto in vita sua, fosse riguardo la sua bellezza, le sue capacità o la sua intelligenza. Gli rivolse un sorriso stanco ma trionfante. "Formiamo una bella squadra, no?"
Jacques ridacchiò. "Assolutamente sì. E non vorrei combattere accanto a nessun altro."
Lei si fece seria. "Grazie, Jacques", disse sottovoce. "Siete la miglior scelta che avrei mai potuto fare per un braccio destro. Siete molto più di questo, in realtà: un compagno d'armi, ed un vero amico."
Nella debole luce, improvvisamente scorse una chiazza scura e umida sulla parte superiore del braccio di Jacques. "Siete ferito!" esclamò, allarmata, sporgendosi in avanti impensierita.
Jacques lanciò un'occhiata al sangue che gli macchiava la manica e si strinse nelle spalle, ma vedendo la preoccupazione di Alisa, la rassicurò: "È solo un graffio, ho passato di peggio in passato."
Alisa esitò, poi annuì, anche se non era del tutto convinta.
Jacques lanciò un'occhiata a Giuliano. "Dove sono i cavalli?"
"Qui vicino", rispose il sergente. "Legati a un tronco caduto."
Si mossero subito e, un minuto dopo, trovarono le loro cavalcature dov'erano state lasciate.
Non avevano un cavallo per Alisa, pertanto la donna montò dietro a Jacques, il cui robusto cavallo da guerra non aveva problemi a portare il leggero peso aggiuntivo. Strinse le braccia attorno alla vita di Jacques e si mise più comoda possibile sull'ampia schiena della sua cavalcatura.
Cominciarono a muoversi attraverso gli alberi, scegliendo con prudenza la strada attraverso radici e rami, impossibilitati a muoversi velocemente a causa del buio notturno nella foresta. Giuliano era il primo della fila e li guidava, poi venivano Jacques ed Alisa montati su Vaillant, seguiti dagli altri tre armigeri di Valdastico.
Mentre la tensione e l'adrenalina nelle sue vene calava, Alisa sentì la necessità di confidare a Jacques cos'era avvenuto col Conte di Asolo. "Bembo è un bastardo anche peggiore di quanto pensassi", disse sottovoce, solo per lui, ancora scossa dal ricordo. "Mi ha rapita per costringermi a sposarlo e mettere le sue sporche mani su Valdastico. Ho rifiutato e gli ho riso in faccia, ma lui…" Inghiottì un'ondata di bile amara. "Ha detto che mi avrebbe stuprato per mettermi incinta, obbligandomi così a sposarlo.
Jacques strinse spasmodicamente le redini, il suo intero corpo che si tendeva ascoltando la confessione di Alisa. Le sue parole gli echeggiarono nella mente, e la collera che aveva bruciato in lui fin dal rapimento deflagrò in qualcosa di molto più intenso.
Il solo pensiero delle ignobili intenzioni di Bembo gli fece ribollire il sangue. Sentì le braccia di Alisa attorno alla vita, la sua presenza che lo calmava leggermente, ma non era abbastanza per sopprimere la furia che gli scorreva nelle vene. Come osava quel codardo minacciarla, usare mezzi così spregevoli per tentare di forzarla al matrimonio? Jacques aveva conosciuto altri uomini come Bembo in passato, vigliacchi che si nascondevano dietro titoli, credendo che il potere desse loro il diritto di fare qualsiasi cosa. Ma questo andava oltre la semplice politica; questo era personale.
"Fottuto figlio di puttana!" inveì a bassa voce, incapace di trattenersi.
Alisa non lo aveva mai sentito imprecare in sua presenza, e questo le diede la misura della sua furia. Il cuore le si gonfiò. "Non ne ha avuto la possibilità, però", aggiunse in fretta. "Io…" Divenne improvvisamente scarlatta al ricordo della sfacciataggine del suo inganno. "Gli ho fatto credere che ho un amante e che se voleva essere sicuro che io non portassi in grembo il figlio di un altro, doveva aspettare il mio prossimo sanguinamento", quasi farfugliò nella fretta di spiegare. Tuttavia, non riuscì a dire a Jacques che aveva citato lui come il suo supposto amante. Era fin troppo imbarazzante.
Jacques strinse la mascella, i muscoli del volto tesi mentre lottava per mantenere la calma. "Ve lo giuro, Alisa", disse a denti stretti, la voce bassa e spietata. "Bembo pagherà per questo. Non se la caverà per quello che vi ha fatto."
Dietro di lui, Alisa poté sentire l'intensità delle sue parole, e sebbene fosse già sfuggita al pericolo immediato, trovò conforto nella promessa che le stava facendo. Jacques non era il tipo d'uomo che facesse minacce vane, e lei sapeva che il suo giuramento era intriso di tutto il peso del suo onore di cavaliere.
"Apprezzo la vostra collera per quanto mi è successo, Jacques", sussurrò, la voce dolce nell'aria notturna. "Ma dobbiamo agire in modo intelligente. Sicuramente ci inseguirà, e dovremo essere pronti."
La presa di Jacques sulle redini si strinse ulteriormente. "Che venga pure. Sarò pronto per lui."
Continuarono il viaggio attraverso la densa foresta, il silenzio tra loro pesante ma fatto di mutua comprensione. I pensieri di Jacques erano consumati dalla ricerca del modo in cui ottenere vendetta su Bembo per quello che aveva fatto, per l'affronto che aveva inflitto non soltanto ad Alisa, ma a tutto ciò in cui Jacques credeva. Il dovere di un cavaliere era proteggere l'onore e la sicurezza di coloro che serviva, e con le sue azioni, Bembo aveva sputato su quel giuramento sacro.
Mentre si avvicinavano a Valdastico, le prime luci dell'alba cominciarono a filtrare attraverso gli alberi, gettando un dolce bagliore sul paesaggio. Mentre acceleravano il passo, la tensione che li aveva attanagliati durante tutto il tragitto si allentò brevemente, p sembrò loro che avrebbero potuto raggiungere la salvezza del feudo senza altri incidenti.
Quella speranza, però, ebbe vita breve.
I suoi sensi, acuiti da anni trascorsi sui campi di battaglia, allertarono Jacques mentre stavano finalmente uscendo dalla foresta. Percepì il sottile cambiamento prima nell'aria, un brivido di consapevolezza che gli diceva che non erano soli. Il suono di zoccoli rimbombava in distanza, diventando via via più forte a ogni secondo. Il suo intero corpo si irrigidì, e senza una parola, estrasse la spada dal fodero, la lama che scintillava nella luce del primo mattino.
Alisa, percependo il cambiamento in lui, rafforzò la presa attorno alla sua vita. "Cosa c'è?"
"Ci stanno seguendo", ringhiò Jacques, gli occhi che scrutavano gli alberi. "Bembo, di sicuro."
Sebbene si fosse aspettata che Bembo li inseguisse, erano arrivati tanto vicino a casa che Alisa aveva cominciato a sperare che non sarebbe riuscito a raggiungerli e che potessero trovar rifugio a Castel Malatesta. Tuttavia, non perse tempo in contemplazione di possibilità sfumate e si concentrò invece su quello che doveva essere fatto.
Aveva abbandonato l'arco che aveva rubato alla sfortunata guardia di Asolo, ma c'era un arciere nel loro piccolo gruppo. Inoltre, avevano urgente bisogno di rinforzi.
"Carlo!" Alisa si girò per chiamare l'armigero. Prontamente, l'uomo la raggiunse. "Dammi il tuo arco e la faretra, poi vai più veloce che puoi a Valdastico. Roberto deve adunare tutti gli uomini e venire immediatamente in nostro soccorso."
Mai dimenticando che era Jacques lo stratega e il capo della sua piccola forza militare, Alisa si voltò verso di lui per conferma.
Lui esitò un momento soltanto: avrebbe preferito che fosse lei a correre a Valdastico per ottenere aiuto, in salvo e lontana dal pericolo, ma oramai la conosceva abbastanza da capire che non si sarebbe tirata indietro dal combattimento. Inoltre, le sue abilità di arciera erano semplicemente senza pari, e ne avrebbero avuto bisogno. Pertanto, annuì.
Carlo consegnò la sua arma ad Alisa senza domande. Lanciò un'occhiata alle colline oltre le quali si trovava Valdastico e valutò la distanza ed il tempo necessario a percorrerla nei due sensi. "Mezz'ora, mia signora", disse.
"Vai!" ordinò Jacques.
Mentre l'uomo spronava il suo cavallo al galoppo, il cavaliere si guardò attorno nella crescente luce del giorno che sorgeva, cercando un terreno favorevole dove poter fare resistenza. Non conosceva i dintorni, ma Alisa sì, ed infatti, gli segnalò un colle solitario cosparso di massi, dove avrebbero potuto avere il vantaggio del terreno sopraelevato. In più, era situato nella direzione di Valdastico, il che significava che sarebbero stati più vicini, guadagnando una manciata di minuti che potevano rivelarsi cruciali per la loro sopravvivenza finché non fossero giunti i rinforzi.
Spronarono le loro cavalcature e si slanciarono in avanti. Avevano appena raggiunto la collinetta quando gli uomini di Bembo eruppero dalla foresta al loro inseguimento.
I due armigeri valdasticensi balzarono giù dai loro cavalli, allontanandoli perché non venissero feriti durante l'imminente battaglia, e si girarono ad osservare i nemici che si avvicinavano. Erano in netta superiorità numerica, essendo in dieci più il loro condottiero.
"Bembo in persona la sta conducendo!", Alisa informò Jacques, che annuì per segnalare d'aver capito. Il suo volto era scuro con una furia che la contessa non aveva mai visto in lui; sapeva che, se fosse giunto allo scontro diretto con il Conte di Asolo, costui non avrebbe visto la fine di quel giorno.
Jacques era ritto sulla sella, fermo e determinato, gli occhi fissi sulle forze in arrivo. La prima luce del giorno proiettava lunghe ombre sul terreno, ma lo scintillio dell'acciaio e gli zoccoli tonanti degli uomini di Bembo riempivano l'aria di tensione. Questo era il momento che Jacques aveva atteso, quando tutte le minacce, tutte le ignominiose intenzioni di Bembo avrebbero incontrato la loro resa dei conti.
Alisa guardò da Jacques agli altri due loro armigeri. In un impeto di sfida, sollevò il suo arco e gridò: "Uomini, facciamogliela pagare, a quella feccia asolana!"
"Sììììì!" urlarono entrambi gli uomini.
Jacques sollevò la spada, e la sua lama lampeggiò, cogliendo un raggio del sole sorgente sulla loro sinistra. "Per Valdastico!" tuonò. "Per Malatesta!"
Alisa si unì al grido di battaglia assieme agli armigeri, poi si voltò e cominciò a risalire il colle. Trovò un masso adatto che le avrebbe fornito copertura e piazzò la faretra davanti a sé. Osservò gli uomini di Asolo avvicinarsi sempre di più.
"Una freccia, un morto", borbottò il motto favorito del suo defunto istruttore di tiro con l'arco. Fece un profondo respiro per calmarsi e contenere il battito cardiaco accelerato, incoccò una freccia e si preparò alla battaglia incombente.
Ai piedi del colle, Jacques lanciò una breve occhiata ad Alisa, posizionata dietro un masso, l'arco pronto, lo sguardo acuto e concentrato. Sembrava calma, fermamente risoluta nonostante il pericolo, ed ancora una volta, la sua ammirazione per questa formidabile giovane donna crebbe.
Tornando a concentrarsi sulla battaglia imminente, Jacques tornò a voltarsi verso i cavalieri in arrivo. La sua presa sulla spada si strinse, ed una profonda determinazione prese possesso di lui. Bembo avrebbe pagato oggi per le sue azioni disonorevoli, per la sua minaccia contro Alisa, e per ogni azione malvagia della sua miserabile vita.
"Per Valdastico! Per Malatesta!" Jacques urlò di nuovo, agitando alta la spada nell'aria.
Ancora una volta, al suo grido fece eco quello degli armigeri al suo fianco, le loro voci che risuonavano in segno di sfida nella quieta aria mattutina. Si prepararono all'impatto con i cavalieri di Bembo lanciati alla carica con le armi sguainate.
Alisa studiò il gruppo armato in arrivo. Era una persona piuttosto emotiva, ma aveva notato anni prima che, quando si trattava di un'emergenza o, peggio, di un pericolo, era capace di mantenere il sangue freddo. Fece un altro profondo respiro e tirò indietro la corda dell'arco prestatole da Carlo. Era un po' più duro del suo, poiché il suo libbraggio era ovviamente calibrato su quello del suo proprietario, ma ce la poteva fare. Prese attentamente la mira e scoccò. La freccia colse il soldato nemico esattamente dove lei aveva inteso, attraversandogli la gola, e l'uomo cadde da cavallo, colpendo il suolo con un tonfo dal suono nauseante.
Jacques osservò l'uomo cadere ed assentì in silenzioso elogio.
Con la coda dell'occhio, Alisa lo vide annuire con approvazione e si sentì orgogliosa della sua abilità di arciera come mai prima.
Da quando la sua approvazione era diventata così importante, per lei?
Spinse da parte il pensiero per non venirne distratta ed incoccò un'altra freccia, prendendo la mira contro il prossimo bersaglio. Rilasciò la seconda freccia, mirando ad un altro avversario.
Come il primo, anche questo cadde, neutralizzato.
Il momento della battaglia era arrivato. La prima ondata degli uomini di Bembo li colpì come una bufera, ma Jacques, Giuliano e Beppo, l'altro armigero di Valdastico, reagirono senza vacillare.
Il cavaliere francese aveva tenuto il suo destriero, giacché era abituato a combattere in sella, mentre gli altri due erano più fanteria e pertanto avevano scelto di scontrarsi con i loro avversari a piedi.
Jacques era un turbine, tutto precisione mortale e movimenti perfettamente coordinati. Sollevò la spada, scontrandosi col primo cavaliere in un fragore d'acciaio. La forza del colpo si riverberò attraverso il suo braccio, ma tenne duro, spingendo da un lato la lama dell'altro e tirando un colpo rapido e brutale al suo petto. Il cavaliere ansimò, gli occhi sbarrati dall'incredulità mentre cadeva da cavallo.
L'abilità di Giuliano e Beppo aveva beneficiato dell'addestramento e delle nuove tecniche di combattimento di Jacques, come dimostrarono immediatamente liberandosi in fretta dei loro primi opponenti.
La battaglia era un caos. Jacques si muoveva con letale accuratezza, ogni colpo calcolato, ogni parata eseguita con perfetto tempismo. Schivò un colpo selvaggio da parte di un altro soldato, poi menò la spada di taglio attraverso il tronco dell'uomo. Il cavaliere crollò, ruzzolando da cavallo in un mucchio.
Sopra di lui, Alisa continuava a lanciare le sue frecce, ogni tiro che colpiva il bersaglio. Si muoveva con grazia e precisione, le frecce che fendevano l'aria per abbattere nemico dopo nemico. Assieme, tutti loro – Jacques, Alisa, Beppo e Giuliano – combattevano come una macchina ben oliata, ciascuno integrando le forze degli altri.
Cinque abbattuti, contò Alisa. Altri cinque rimanenti, oltre a Bembo stesso, che se ne stava indietro, da vigliacco qual era realmente, lasciando che i suoi uomini combattessero al posto suo.
Distogliendo la mente dallo scontro in sé per non venirne distratta, Alisa si concentrò nuovamente sul proprio compito, che era fornire copertura ai suoi uomini. Prese di mira un terzo nemico, abbattendolo con la letale precisione che aveva acquisito in anni di pratica.
Notò due soldati di Asolo andare all'attacco di Beppo. Fulminea, Alisa scoccò due frecce una dopo l'altra, la prima trovando il suo bersaglio in una coscia, l'altra nella gola del cavallo del secondo uomo. L'animale ruzzolò a terra con un nitrito di dolore ed il suo cavaliere cadde malamente, sbattendo duramente la testa e restando al suolo, incosciente.
Mentre gli uomini cadevano tutt'attorno a lui, gli occhi di Jacques rimasero fissi sull'unico uomo più importante: il Conte Iacopo Bembo.
Bembo, restando dietro le forze rimanenti, aveva il volto distorto in un ghigno, ma Jacques poteva vedere la paura dietro di esso. Il conte li aveva chiaramente sottovalutati, e adesso stava infine accorgendosi di quale fosse il prezzo della sua arroganza.
"Non puoi scappare, Bembo!" urlò Jacques sopra il fracasso della battaglia. "La facciamo finita qui!"
Il ghigno di Bembo si attenuò, ma sospinse avanti il cavallo, determinato a far fuori Jacques egli stesso. "Non sei niente, Le Gris!" Bembo sbraitò sollevando la spada. "Pensi di potermi fermare? Prenderò Valdastico, e prenderò anche lei!"
Nel momento in cui il suo ultimo bersaglio cadde, Alisa udì Jacques urlare qualcosa, e Bembo rispondere. Si fermò per guardare i due uomini, che ora si stavano affrontando.
Valutando rapidamente la situazione, Alisa si accorse che la battaglia si era fermata, con gli uomini di Asolo morti o immobilizzati, mentre i due rimanenti stavano apparentemente aspettando per un duello in singolar tenzone tra i due capitani. Anche Beppo e Giuliano erano fermi, in attesa.
Alisa raccolse in fretta le restanti frecce, le gettò nella faretra e se la mise in spalla. Cominciò a discendere il colle, volendo udire il confronto tra Jacques e Bembo, e anche osservare più da vicino quel che stava per accadere. Stringeva una freccia, pronta ad incoccarla e tirarla se Bembo o uno dei suoi avessero provato a fare una mossa falsa contro Jacques o uno dei suoi altri due uomini.
Sentendo le sprezzanti parole di Bembo, la collera sorse nell'animo di Jacques, che incontrò la carica del conte a testa bassa. Le loro spade cozzarono con rumore assordante, scintille che volavano tutt'attorno mentre i due uomini combattevano con ogni briciolo della loro forza.
I colpi di Bembo erano selvaggi, alimentati dalla disperazione, mentre Jacques combatteva con mortale controllo. Parava con facilità gli attacchi di Bembo, gli occhi che non lasciavano mai quelli del conte, l'espressione dura ed inflessibile.
Gli occhi di Alisa erano incollati sui duellanti. Era perfettamente immobile, come congelata, respirando appena. Razionalmente, sapeva che Bembo non aveva scampo con Jacques; anche se lo spregevole conte fosse in qualche modo riuscito a disarmare il suo capitano, le lo avrebbe fermato abbattendolo con una freccia. Nonostante questo, Alisa sentiva il freddo tocco della paura scendere per la sua spina dorsale mentre osservava Jacques incrociare la sua spada contro quella di Bembo.
Gli occhi del cavaliere francese contenevano una promessa di morte per il suo opponente. "Non la toccherai mai", ringhiò Jacques con voce bassa e pericolosa. "Non finché ancora respiro."
Con una potente spinta, Jacques spostò violentemente di lato la spada di Bembo, che vacillò all'indietro sulla sella.
Quell'apertura era tutto ciò di cui Jacques aveva bisogno.
Lestamente, smontò da cavallo, afferrò Bembo per la collottola e lo trascinò giù dalla sella.
Il conte cadde a terra con un grugnito, la spada che gli volava via di mano. Si tirò faticosamente in piedi, gli occhi sgranati dal panico mentre si rendeva conto di essere disarmato ed alla mercé di Le Gris. Cominciò ad indietreggiare, ma Jacques avanzò su di lui, la spada che scintillava nella luce del sole sorgente.
"Non c'è più alcun posto per scappare", Jacques disse freddamente, la voce piena di quieta furia. "Hai minacciato la sua vita e il suo onore. Meriti di peggio che questo."
Bembo, ora in ginocchio, sollevò le mani in un patetico tentativo di chiedere pietà. "Vi prego", ansimò. "Vi supplico, non fatelo. Possiamo fare un accordo…"
"Nessun accordo", lo interruppe Jacques con voce dura come l'acciaio. "Solo giustizia."
Con un movimento rapido e brutale, Jacques trapassò il petto di Bembo con la spada. Il conte boccheggiò ed i suoi occhi si dilatarono per l'incredulità mentre la vita lo abbandonava. Si accasciò in avanti, il corpo che si afflosciava ai piedi di Jacques.
Un uomo simile, che non aveva mai una volta mostrato pietà in vita sua, non ne meritava alcuna.
Jacques rimase in piedi sopra di lui per un momento, il petto che si alzava ed abbassava convulsamente per lo sforzo del combattimento, ma la mente chiara.
Era fatta.
Il regno di terrore di Bembo era terminato.
Gli ultimi due uomini rimasti ancora in piedi afferrarono il loro unico compagno sopravvissuto e si diedero alla fuga. Alisa non si curò di provare ad abbatterli, giacché dopotutto stavano soltanto eseguendo gli ordini del loro padrone ed erano innocenti delle sue malefatte contro di lei.
Jacques ritrasse la spada dal cadavere del conte, pulendo la lama dal sangue prima di rinfoderarla. Il campo di battaglia era silenzioso ora, poiché gli uomini rimanenti di Bembo erano morti oppure stavano fuggendo nei boschi. Jacques si voltò e vide Alisa che gli si avvicinava, l'arco ancora in mano, l'espressione composta.
Alisa lo raggiunse. "L'avete fatta finita", disse piano, la voce colma di un misto di sollievo e di comprensione.
Jacques annuì, lo sguardo ancora impietrito sul corpo senza vita di Bembo. "Doveva essere fatto", replicò sottovoce. "Non si sarebbe mai fermato."
Per un momento, rimasero in silenzio, entrambi considerando il peso di quant'era appena accaduto. Il pericolo era passato, ed il legame tra loro era diventato più forte.
"Vi ringrazio", disse Alisa infine, la voce piena di gratitudine. "Per tutto."
Jacques si girò verso di lei, l'espressione che si addolciva. "Ve l'ho detto, mia signora", disse. "Vi proteggerò sempre."
"Lo so, Jacques", la contessa replicò sottovoce, arricchendo le semplici parole con tutta la riconoscenza e l'affetto che provava per lui.
Lui era il suo braccio destro, il suo cavaliere, ma soprattutto, era l'uomo più affidabile che avesse mai incontrato dopo suo padre e Riccardo.
Jacques ricambiò il suo sguardo, l'intensità dei suoi occhi scuri che le riscaldava il cuore come non accadeva più da lungo tempo.
In quel momento, si udì il tuonare di zoccoli in avvicinamento. Alisa ed i tre uomini si voltarono di scatto, pronti ad impugnare le armi, ma si avvidero immediatamente dello stendardo di Valdastico che ondeggiava nel vento, portato dal vessillifero che cavalcava accanto al Sergente Roberto a capo di un numeroso gruppo di armigeri.
Roberto fece arrestare il gruppo e fermò il proprio destriero. Osservò la scena con l'occhio di un soldato esperto e sogghignò. "Vedo che siamo arrivati troppo tardi per essere di qualche utilità, eh, mia signora, Capitano Le Gris?" commentò scherzosamente.
"Meglio tardi che mai!" esclamò Giuliano, ridendo. "Abbiamo applicato ogni singola tecnica che il nostro capitano ci ha insegnato, e ha funzionato."
"Lo vedo", disse Roberto, annuendo. "E vedo anche che la nostra contessa ha fatto la sua parte in tutto questo", aggiunse, sghignazzando ed indicando un paio di uomini di Asolo trafitti da frecce.
"Certo che l'ha fatta", ridacchiò Jacques, trascinato dal semplice cameratismo dei suoi uomini, ed anche Alisa sorrise, giustificatamente fiera di se stessa.
"Bembo non sarà più una minaccia per Valdastico", aggiunse poi, tornando seria. "Il Capitano Le Gris se ne è occupato."
Gli occhi di Roberto caddero sul corpo del Conte di Asolo. "Se l'è cercata", ringhiò ferocemente. "Nessuno mette le mani addosso alla nostra signora, giusto, ragazzi?" gridò poi, voltandosi verso la truppa.
Gli uomini eruppero in un urlo di approvazione che fece salire le lacrime agli occhi di Alisa. Sapeva che i suoi sudditi l'amavano, ma questa dimostrazione di rispetto ed affetto la fece sentire sopraffatta, mentre la stanchezza di un giorno molto duro e di una notte ancor più dura infine la raggiungeva in pieno.
Si concesse un momento per ritrovare la sua compostezza, poi si voltò verso Jacques. "Andiamo a casa", disse, un pallido sorriso che le curvava leggermente le labbra.
OOO
Tornato nei propri alloggi, Jacques giaceva in silenzio, gli eventi delle ultime ore che gli passavano per la mente a ripetizione. Aveva pulito e lucidato la spada, lavato via il sangue delle proprie mani, ed era tornato alla riservatezza della sua stanza, sperando che la spossatezza della battaglia gli avrebbe infine consentito di trovare il riposo cui anelava. Ma mentre stava sdraiato sul letto, fissando il soffitto, il sonno continuava a sfuggirgli.
Ogni volta che chiudeva gli occhi, i ricordi tornavano a sommergerlo come una marea. Non del combattimento, ma di Alisa. Il tocco della sua mano mentre lo ringraziava, il calore del suo corpo premuto contro il proprio mentre cavalcavano insieme, il modo in cui i suoi occhi sembravano intenerirsi mentre lo guardava con riconoscenza e fiducia. Tutto questo risvegliava qualcosa nel profondo della sua anima, qualcosa che era rimasto dormiente così a lungo che non si era reso conto fosse ancora lì.
Jacques si girò, seppellendo il volto tra le mani. Era venuto a Valdastico per ricominciare daccapo, per lasciarsi alle spalle gli errori del passato e per dedicarsi completamente ai suoi doveri di cavaliere. Si era fatto una promessa solenne, la promessa che non avrebbe più permesso al suo cuore di distrarlo nuovamente com'era successo con Marguerite. Eppure, provava qualcosa per Alisa Malatesta che andava molto al di là del dovere o dell'amicizia.
Ricordava il modo in cui le lo aveva guardato dopo la battaglia, le sue parole di lode ed ammirazione che ancora gli risuonavano negli orecchi. Aveva percepito la sua fiducia in lui, una fiducia tanto profonda e solida che lo faceva sentire umile. Ma c'era qualcosa di più, qualcosa nel modo in cui i suoi occhi si posavano su di lui, il modo in cui la sua voce si ammorbidiva quando pronunciava il suo nome.
O forse era soltanto la sua immaginazione.
Per un momento, si era concesso di credere che fosse possibile. Che forse, in qualche lontano futuro, potessero essere più di un cavaliere e la sua signora.
Ma poi ricordò a se stesso chi lui fosse, e cosa più importante, chi fosse lei.
Alisa aveva messo in chiaro fin dal principio che dava un grande valore alla propria indipendenza, e che non era interessata al matrimonio o ad essere legata ad alcun uomo. Era forte, capace, e fieramente determinata a governare Valdastico alle sue condizioni. Non aveva bisogno di nessuno, meno che meno di lui. E Jacques aveva imparato le proprie lezioni di vita – lezioni che gli avevano insegnato che non poteva permettersi di lasciare che il suo cuore lo fuorviasse nuovamente.
Non dopo quello che era accaduto con Marguerite e Jean de Carrouges.
Aveva visto la rovina che l'amore può portare, aveva sentito il peso della responsabilità che lo schiacciava. Tenere profondamente a qualcuno significa esporsi alla possibilità di deludere quel qualcuno, e non poteva sopportare il pensiero di deludere Alisa. Non dopo tutto quello che lei gli aveva affidato.
Il calore che aveva provato quando lei gli aveva detto che stavano andando a casa, era stato una breve visione di qualcosa che aveva a lungo dimenticato: appartenenza. Ma quel calore ora gli sembrava un ricordo lontano, freddo ed irraggiungibile. Questo luogo chiamato Valdastico, che aveva cominciato a sembrargli casa, non poteva più essere la sua destinazione.
Si girò sul fianco, il cuore che gli doleva per la consapevolezza di quello che doveva fare. Per quanto lo avrebbe distrutto, sapeva che rimanere poteva soltanto portargli ancor più pena. Presto o tardi avrebbe commesso un errore, i suoi sentimenti lo avrebbero tradito, ed allora tutto sarebbe finito. Alisa lo avrebbe visto, ed il pensiero di lei che lo guardava con disappunto, o peggio, con disistima, era più di quanto potesse sopportare.
Poteva già immaginare il momento: gli occhi di Alisa che si stringevano per la confusione o l'incredulità, le sue parole secche mentre comprendeva quello che lui provava. E poi la fiducia che avevano costruito, il legame che avevano forgiato, sarebbero andati in mille pezzi. Non poteva correre questo rischio. Non poteva rischiare di perdere il suo rispetto.
No. Era meglio andarsene ora, prima che si arrivasse a tanto.
Una lacrima solitaria gli scivolò giù dall'angolo di un occhio, cadendo sul cuscino sotto di lui. Non aveva voluto che succedesse questo. Non aveva voluto provare niente oltre al dovere di un cavaliere per la sua signora, o forse all'amichevole cameratismo. Ma la verità era ormai innegabile.
Si era innamorato di Alisa Malatesta.
Ed a causa di questo, non aveva altra scelta che andarsene.
Jacques deglutì a fatica, il petto che gli si stringeva mentre il peso della sua decisione gli gravava addosso. Gli spezzava il cuore in modi che non si era aspettato. Lasciare il luogo che aveva cominciato a farlo sentire a casa, andarsene via dalla persona che aveva toccato il suo cuore dopo tanto tempo… era come andare in pezzi.
Ma doveva essere fatto.
Chiuse gli occhi, cercando di costringersi a dormire, ma il dolore nel suo petto rifiutava di lasciarlo riposare. Sapeva quello che doveva fare. Avrebbe parlato ad Alisa al più presto, trovando qualche scusa riguardo alla necessità di andare avanti, di cercare una nuova strada. Avrebbe lasciato Valdastico, avrebbe lasciato lei, e non si sarebbe voltato indietro.
Ma anche mentre cercava di farsi forza per affrontare ciò che lo attendeva, le tracce delle lacrime sul suo cuscino erano una prova della profondità dei sentimenti che non poteva più negare.
Non era così che avrebbe dovuto andare.
E lo faceva soffrire da impazzire.
OOO
Nelle sue stanze, Alisa era immersa in una vasca di zinco piena d'acqua calda, fragrante di lavanda e melissa, intenta a rilassare le sue membra doloranti. Marta, la sua cameriera personale, l'aiutò, anche facendole un massaggio lenitivo con oli contenenti bergamotto e camomilla. Dopodiché, pulita e rinvigorita, Alisa scivolò sotto le lenzuola, intenzionata a dormire fino all'ora di cena.
Tuttavia, il sonno non arrivò subito. La sua mente stava rivivendo gli eventi delle ultime ventiquattro ore: l'ispezione al vigneto, dove si era sentita così a suo agio e lieta in compagnia di Jacques; poi l'improvviso, spaventoso attacco che avevano subito per mano dei tirapiedi di Bembo, dove si era sentita così impotente senza il suo fidato arco; poi ancora, quando si era svegliata prigioniera, e dopo, il confronto con il Conte di Asolo, con la sua disgustosa proposta e peggio, la sua vile minaccia di stupro; e poi era venuta la rischiosa fuga giù per la corda che aveva confezionato con le lenzuola stracciate.
Alisa rammentò il momento in cui aveva udito Jacques chiamare il suo nome e il modo in cui aveva reagito scoprendo che era arrivato. Era stata travolta dal sollievo, cosa che naturalmente era da aspettarsi, ma c'era stato più di questo: una profonda gioia nel comprendere che erano insieme, quasi uno stato di estasi al pensiero che lui era di nuovo al suo fianco, a combattere per lei e con lei. La fuga da Asolo era confusa nella sua mente: movimenti, urla, colpi, momenti in cui aveva avuto il cuore in gola, mentre correvano disperatamente lungo le strade della città. Poi la cavalcata dietro a Jacques, il suo solido corpo un'ancora per il proprio e per la sua mente sconvolta. Il modo in cui lui aveva reagito quando gli aveva confidato i nefandi metodi intimidatori di Bembo per costringerla a sposarlo…
Alisa soffermò la mente su questo pensiero: Jacques era stato furibondo, come ci si poteva aspettare dall'uomo e cavaliere onorevole che era; ma c'era stato qualcos'altro, qualcosa che andava più in profondità della normale reazione del campione di una dama. Senso protettivo, certamente. Affetto, anche, probabilmente. Ma… quale tipo di affetto?
Alisa rammentò i pettegolezzi del castello. Dal suo arrivo, aveva rifiutato due volte profferte amorose di fanciulle desiderose di diventare l'amante del nuovo, bel capitano, con tutti i benefici che tale posizione poteva loro dare. Tre volte, se contava Giselle dal loro viaggio ad Aquileia. Allora, lei gli aveva fatto notare che non era un monaco; tuttavia, sembrava che egli volesse tener fede a quanto aveva affermato fin dall'inizio: non voleva impegolarsi in simile storie. Alisa poteva solamente concluderne che era determinato a rimanere per sempre uno scapolo che praticava il celibato, forse perfino per il resto della sua vita. Il pensiero la riempiva di un'inspiegabile tristezza. Perché era così turbata dalla sua scelta? Aveva il diritto di vivere la sua vita come gli meglio gli aggradava, dopotutto. Proprio come faceva lei stessa.
Con un sospiro infelice, Alisa chiuse gli occhi mentre finalmente prendeva sonno.
Si svegliò con Marta che la chiamava gentilmente. "Mia signora, è quasi ora di cena", le disse, accendendo le candele nella stanza.
Alisa si sentiva rinfrancata, nonostante le difficoltà che aveva avuto ad addormentarsi. Adesso, però, le sue elucubrazioni le sembravano distanti. Si alzò, indossò un vestito con l'aiuto di Marta, e poi scese al salone per cenare.
OOO
Jacques sedeva alla lunga tavola, il bagliore dorato delle candele che illuminava i muri di pietra del salone. Il suo piatto era pieno, ma notava il cibo a malapena. I suoi pensieri erano altrove, pesanti e tumultuosi, fissati sulla donna che sedeva accanto a lui: Alisa Malatesta.
Da quando erano tornati dalla loro audace fuga da Bembo, la sua mente si struggeva per lei. Il ricordo di lei premuta contro di lui mentre cavalcavano assieme, la feroce determinazione nei suoi occhi mentre combatteva accanto a lui, e la fiducia che aveva riposto in lui… tutto questo aveva risvegliato qualcosa dentro di lui, qualcosa che aveva giurato non avrebbe più permesso.
Si era innamorato di lei.
Profondamente.
Irrevocabilmente.
E adesso, seduto qui, il peso di questa consapevolezza era soffocante.
Aveva preso una decisione. Doveva partire. Era l'unico modo per proteggere entrambi dalle complicazioni che sarebbero derivate se restava. E sebbene lui non volesse altro che rimanere al suo fianco, amarla, costruire una vita con lei, sapeva che lei non avrebbe mai voluto la stessa cosa.
Il suo petto si strinse mentre cincischiava col cibo nel piatto, incapace di mangiare. Aveva sperato di poterle parlare stasera, di informarla che doveva andar via. Ma ogni volta che ci pensava, le parole gli si bloccavano in gola. Come poteva lasciarla quando ogni parte di lui anelava a restare? Eppure come poteva restare quando il suo cuore andava in frantumi ogni volta che la guardava, sapendo che non avrebbe mai potuto averla?
"Jacques?" La voce di Alisa penetrò nei suoi pensieri, bassa e preoccupata. "Siete silenzioso stasera. Qualcosa non va?"
Jacques si irrigidì per un momento, stringendo spasmodicamente la forchetta. Poteva sentire i suoi occhi addosso, in cerca di una risposta. Sapeva che doveva dire qualcosa, qualsiasi cosa. Questo era il suo momento. Poteva dirglielo. Poteva spiegarle tutto – i suoi sentimenti per lei, la sua decisione di partire – ma nel momento in cui alzò gli occhi ed incontrò il suo sguardo, il suo coraggio venne meno.
Gli occhi di lei erano così colmi di fiducia, così inconsapevoli della tempesta che infuriava dentro di lui. Non riuscì in alcun modo a costringersi a distruggere quello che scorgeva in quegli occhi. Il cuore gli martellava in petto, lacerato tra l'amore che provava per lei e la consapevolezza che lei non lo avrebbe mai corrisposto. Deglutì faticosamente, la gola stretta, la mente che arrancava per trovare le parole.
"Io… stavo pensando", cominciò, la voce tesa. "Riguardo a… tutto."
Alisa corrugò leggermente la fronte, sentendo la sua preoccupazione accrescersi. "Cosa intendete?"
Jacques aprì bocca per dirglielo – per confessarle che l'amava, che non poteva restare, che partire era l'unico modo per proteggere entrambi – ma le parole non vennero. Il suo cuore si strinse dolorosamente mentre comprendeva che non poteva farlo. Non poteva dirglielo. Non riusciva a dirle che voleva partire o che si era innamorato di lei. Era troppo. Il rischio che lei lo respingesse, di vedere disappunto o pietà nei suoi occhi, era più di quanto potesse sopportare.
Invece, si obbligò a reprimere tutto. I sentimenti, l'amore, la speranza… doveva soffocare tutto. Lei era la sua signora, niente di più. Forse neppure l'amicizia tra loro era possibile, perché amicizia era l'ultima cosa che voleva da lei. Se non poteva avere il suo cuore, allora forse era meglio non soffrire affatto.
Fece un profondo respiro, preparandosi. La sua espressione s'indurì, e quando parlò nuovamente, la sua voce suonò distante, scevra delle emozioni che lo avevano lacerato fino a poco prima. "Intendevo solo… riguardo ai miei doveri qui", disse in tono piatto. "Stavo pensando a cosa ci si aspetta da me come vostro cavaliere."
Alisa sbatté le palpebre, chiaramente colta di sorpresa dall'improvviso cambiamento nel suo tono. "Jacques, avete fatto più che il vostro dovere", disse dolcemente, un piccolo sorriso che le incurvava le labbra. "Siete stato niente di meno che eccezionale. Non potrei chiedere di più."
Le sue parole avrebbero dovuto fargli piacere, avrebbero dovuto farlo sentire orgoglioso, ma invece, esse resero solo più profondo il baratro dentro di lui. Fissò il piatto, incapace di incontrare il suo sguardo, il suo cuore che si stringeva ulteriormente.
"Ho solo fatto il mio onorevole dovere come avete il diritto di aspettarvi", disse in tono asciutto, staccato. Parlò senza guardarla, le parole rigide e fredde. Non voleva le sue lodi. Non voleva ascoltare i suoi elogi quando tutto ciò cui riusciva a pensare era a quanto di più desiderava… a quanto desiderava lei.
Le sue braccia attorno a lui.
Le sue labbra che si schiudevano sotto le sue in un bacio appassionato.
Le sue gambe attorno a lui mentre facevano l'amore.
Alisa esitò, percependo il cambiamento in lui. "C'è qualcosa che vi disturba, Jacques?" indagò, in tono gentile e premuroso.
Jacques scosse il capo, continuando a rifiutarsi di guardarla. "No. Sto solo pensando al lavoro. Nulla di più."
La menzogna aveva un sapore amaro sulla sua lingua, ma era l'unico modo per proteggere se stesso.
E lei.
Non poteva farle vedere quando stava soffrendo, quanto profondi erano i suoi sentimenti per lei.
Non poteva sopportare di lasciarla, ma questo significava che doveva dimenticare tutto e diventare il cavaliere che lei aveva ingaggiato, e nulla più.
Per amor suo, lo avrebbe fatto.
Lo avrebbe fatto.
Il resto del pasto trascorse in un silenzio teso. Alisa tentò di continuare la conversazione, offrendo chiacchiere e commenti amichevoli, ma Jacques rispondeva appena, con risposte brevi e formali. La sua mente era un campo di battaglia, il cuore in lotta in una guerra già persa.
Infine, quando la cena fu terminata, si congedò subito, alzandosi da tavola con un brusco inchino. "Perdonatemi, mia signora", disse con voce priva d'emozione come in precedenza. "Ho dei doveri di cui occuparmi prima di andare a dormire."
La vide esitare, chiaramente domandandosi a quali doveri si stesse riferendo, ma poi Alisa con un cenno del capo gli accordò il permesso di ritirarsi.
Jacques si inchinò una volta ancora, poi si girò ed uscì dal salone, il cuore gravato del peso delle cose che non aveva detto.
Aveva scelto la propria strada. Avrebbe continuato a servirla come cavaliere, nient'altro. Ed avrebbe seppellito i suoi sentimenti profondamente dentro di sé, dove non avrebbero più potuto ferire né lui, né lei.
Ma mentre lasciava la sala, il suo cuore doleva della consapevolezza che nascondere quei sentimenti non sarebbe stato facile quanto aveva sperato.
