4. Mamma?

Quasi mi strozzo con il tè. Mia madre? Cosa ci faceva mia madre da … no, capisco. Ora è tutto chiaro. Fin troppo, direi. Mio padre è sempre stato un uomo vendicativo. Lo so. L'ho provato sulla mia pelle. Non voleva lasciarla andare.
"John" dico prendendo il cappotto e cominciando a infilarmi la sciarpa "Vado a Scotland Yard. Ci sono sviluppi sul caso di …" mi interrompo. Non ce la faccio proprio a finire la frase "Be', hai capito"
"Verrei volentieri anch'io, Sherlock, ma devo andare in ambulatorio"
"Tranquillo" gli dico uscendo.
Chiamo un taxi. In pochi minuti arrivo a Scotland Yard.
"Come stai?" mi domanda Lestrade appena mi vede. È la domanda del giorno.
"Meglio" stessa domanda. Stessa risposta.
"Dunque" riprende lui, professionale "Questo Stephen Brown … abbiamo trovato un suo biglietto da visita mezzo sepolto dal fango. Lo ha riconosciuto Anderson"
"Dov'è ora?"
"Lo abbiamo interrogato. Verrà processato, certo, ma sicuramente verrà assolto per legittima difesa. Hai detto tu stesso che il pugnale era di tuo padre, no?"
"Giusto. Ma se il caso è chiuso, perché mi hai chiamato qui?"
"Volevo solo sapere come stai" mi risponde insicuro. Mi vuole bene, nonostante tutto gli sto veramente a cuore.
"Te l'ho detto. Sto meglio"
"Meglio non vuol dire bene"
"No"
"Mycroft si occuperà del funerale, giusto?"
"Si"
Ormai ha capito come andrà avanti la conversazione.
"Chiamami se hai bisogno" mi dice mentre sono già alla porta.
"Altrettanto" dico io.
Chi ha bisogno di chi? È lui che ha bisogno di me! Se avessi bisogno di aiuto, sicuramente non mi rivolgerei a lui! Ora ho solo bisogno di risposte. So dove trovarle.
La casa dei miei genitori è molto grande ma a me sembra immensa. L'ho lasciata da parecchi anni, da quando frequentavo l'università. Non ci sono più tornato, cene di Natale a parte.
Mi ha visto dalla finestra ed è subito alla porta, pronta ad accogliermi. Non si è truccata. Negli occhi ha i segni di una notte insonne. I capelli ormai bianchi sono spettinati. Non si è ancora vestita, indossa quella sua vestaglia rossa che mi piace tanto. È bellissima.
"Sherlock, tesoro" mi dice prima di abbracciarmi.
"Ciao mamma" le dico rispondendo all'abbraccio.
Non servono altre parole. Lei è la mia ancora. La mia salvezza. L'unica donna di cui riesca a fidarmi. Si potrebbe pensare che sono un mammone. Non me ne frega niente. Lei è stata l'unica che mi ha sempre difeso.
"Puoi aspettarmi qualche minuto? Vado a vestirmi"
Non faccio in tempo a rispondere che lei è già andata via. Mentre l'aspetto mi guardo attorno. Le stanze che mi hanno visto crescere. Tutto lì dentro mi ricorda mio padre. Lui e il rapporto che avevamo.
"Eccomi" mi dice scendendo le scale.
Ora la riconosco. Si è vestita con la solita eleganza ed è perfettamente truccata. Sotto il fondotinta si vede ancora che non deve aver dormito molto stanotte, ma lei riesce a mascherarlo perfettamente.
"Come stai?" le chiedo. Per la prima volta da ieri sono io che lo domando a qualcuno e non il contrario.
"Non lo so" mi risponde lei "Non lo so davvero Sherlock"
È agitata. Lo vedo. Cosa mi sta nascondendo tra quelle mani che si contorcono, cercando rassicurazione l'una con l'altra? Cosa nascondono quegli occhi di ghiaccio? Quegli occhi che ha avuto la bontà di regalarmi. Le assomiglio così tanto. Per questo so bene che non parlerà. Dovrò aiutarla ad aprirsi. Non è mia intenzione violare così la sua intimità, ma ho bisogno di risposte. Ho bisogno di avanzare lungo questa strada che mi si è aperta davanti.
"Stavate divorziando?" le chiedo a bruciapelo. Non so come altro chiederglielo.
Lei sobbalza. Non che non si aspettasse una domanda del genere, da me.
"No" mi risponde lei. Sarà vero?
"Allora come mai papà ha provato ad uccidere un avvocato divorzista?" un'altra stoccata.
Lei adesso è sconvolta. Mycroft non le ha raccontato tutto, a quanto pare. Dovrò farlo io.
"Di cosa stai parlando?" è sincera. Davvero non sa nulla.
"Sai com'è morto?"
"No"
"Lo hanno trovato in un vecchio capannone abbandonato. È stato ucciso con il suo stesso pugnale. Quello che aveva ereditato dal nonno. Era lui il potenziale assassino. Vicino al corpo hanno trovato un biglietto da visita. Sai chi è Stephen Brown?"
"Come? Sthephen? Dov'è ora? Cosa gli hanno fatto?"
"Lo conosci?"
"Io …" esita. Cos'è quella cosa che vedo nei suoi occhi? Senso di colpa? "Si. Lo conosco"
Si, confermo. È proprio senso di colpa. Sento che mi sta nascondendo altro. Distoglie lo sguardo. Sa che posso leggerle dentro. Sa che capisco quando mente. Non può permetterselo. Non con me. È tesa come una corda di violino.
"Sarà processato ma se la caverà. Tutto dimostra che è stata legittima difesa"
La tensione magicamente scompare. Le sue spalle si abbassano e lei torna a respirare normalmente. Sarà il caso di chiederle qualcosa? Anche se lo facessi, mi risponderebbe sinceramente? I dubbi si insinuano pian piano nella mia mente. Se ne accorge. Sono come un libro aperto, per lei. Lei è l'unica che mi capisce.
"Posso spiegare, Sherlock" mi dice con un espressione sofferente.
Vuole giustificarsi? Vuole spiegarmi come mai mio padre ha provato ad ucciderlo? Non solo ha provato ad ucciderlo, lo ha intenzionalmente attirato in quel capannone! Doveva avere un motivo ben valido per fare ciò che ha fatto. O no?
"Io e Stephen ci conoscevamo dai tempi dell'università. Non ci vedevamo da anni. Lui è sempre vissuto qui in Inghilterra. Ci siamo persi di vista quando mi sono trasferita in Francia. Non ho saputo più nulla di lui fino a qualche mese fa"
"Non mi vorrai dire che tu e lui …" perché no? Perché no?
"No" mi risponde lei, secca "Non eravamo amanti, se è questo che volevi insinuare"
Perfetto. L'ho fatta arrabbiare. Si gira, dandomi ostentatamente le spalle con le braccia incrociate al petto. La conversazione è finita. Non so più cosa dirle. Mi pesa questo muro che si sta alzando tra di noi. Non lo voglio. Eppure eccolo lì. Si sta difendendo. Da me? Perché dovrebbe difendersi da me? Ha paura che possa scoprire qualcosa? Qualcosa che nemmeno lei vuole ammettere?
Se lei per prima non vuole vedere la verità, chi sono io per sbattergliela in faccia? Lo faccio con tutti eppure con lei non me la sento. Non posso. Non voglio mancarle di rispetto così. Sono ben lungi dallo scoprire la verità, ma lei ha alzato questa barriera che mi impedisce di comunicare. Altre domande sarebbero inutili. Dannose.
Eppure voglio la verità. So che lei potrebbe darmela.
Qui.
Subito.
Adesso.
Dovrò quindi avanzare da solo? Sono tante le domande che mi passano per la testa. Tante come i ricordi che, pian piano, affiorano. Ricordi che pensavo di aver seppellito per sempre con la cocaina. Ora non mi serve più. Sono motivato. Sono pieno di energia. Voglio andare fino in fondo a questa storia.
Per la legge il caso è chiuso. Stephen Brown presto potrà tornare a separare coppie infelici mentre mio padre giacerà per sempre sotto la nuda terra. Che melodrammatico! Mi faccio pena da solo.
Per me? Il caso è chiuso per me? No, certo che no. È appena iniziato. The game is on! Questa volta, però, dovrò fare molta attenzione. Dovrò indagare fuori, capire cosa ha portato mio padre a quel gesto estremo. Chi è veramente Stephen Brown? Che rapporto ha con mia madre? Potrei pedinarlo. Potrei cercare di leggere la sua agenda. Interrogare la segretaria. Sento l'adrenalina salire. Devo agire.
C'è un altro caso, però, che dovrò seguire. Me stesso. Cosa mi sta succedendo?
Tanti, troppi ricordi si sono messi in fila per processarmi. Sono alla sbarra. No c'è modo di sottrarmi a tutto questo. Ho paura. Paura di ricordare. Eppure non c'è alternativa. Non la vedo, di fronte a me. Sento che se lasciassi perdere sarebbe peggio. Tutto quello che mi è successo, durante la mia infanzia, sta cominciando ad eruttare.
Per adesso sono ancora lapilli e cenere. Il brutto deve ancora venire. Sarò in grado di reggerlo?
"Mi dispiace, mamma" le dico avvicinandomi. Vedo che si tranquillizza. Si volta con grazia e mi guarda con gli occhi lucidi.
"Non ti preoccupare" mi dice semplicemente.
Affondo il viso nella sua spalla. Ho bisogno di questo abbraccio. Il mio corpo vibra. Tensione, rabbia, curiosità, paura. Ho bisogno di sfogarmi.