18. Perdono

"Ti Amo"
Sono bastate queste parole per sconvolgermi ancora di più. Nessuno me lo aveva mai detto, prima. Mia madre, forse, tanto tempo fa. Sento il cuore fare una doppia capriola all'indietro. Non rispondo. Non ce la faccio. Mi sporgo verso di lei e la bacio. Per adesso questa è la massima dichiarazione a cui posso arrivare. Devo procedere per gradi, non posso forzare la mia volontà, non posso andare troppo oltre i miei limiti o rischio di spezzarmi. Per adesso va bene così.
Dopo colazione ci vestiamo e lei se ne è andata per la sua strada. E io? Cosa posso fare ora, io?
Ho perdonato mio padre, Siger. Nonostante tutto quello che mi ha fatto, dopo aver letto quella lettera proprio non ce la faccio a sentirmi in collera con lui.
Vorrei andare da mia madre, ma non so come reagirei. L'ho travolta con tutto il mio odio, tutta la rabbia repressa per anni. Mi rendo conto di aver sbagliato, ma ne avevo bisogno. In fin dei conti se lo meritavano.
Mi avvio con passo leggero verso il cimitero. Passo cautamente sotto l'albero dove fino a pochi mesi fa giaceva la mia bara vuota. Mi fermo per un momento a contemplare quel luogo. Nonostante sia passato parecchio tempo riesco ancora a riconoscere dove è stata smossa la terra per far spazio alla mia finta morte. È stato difficile fingere di morire. Tutto il mio orgoglio se ne è andato quel giorno. Ho dovuto fingere di essere quello che non ero, ho dovuto buttare tutta la mia vita … per amicizia. Lo rifarei mille volte se fosse necessario.
Ora sono fermo davanti a questo luogo per dire addio ad una parte di me. L'odio che provavo verso mio padre lo voglio seppellire qui, adesso.
Più avanti, non tanto distante da dove avevano pianto me, c'è la tomba sua tomba.
Non c'è la foto, solo il suo nome. Un nome che rimarrà per sempre nel mio cuore. Stringo i pugni. Perché me lo hanno portato via proprio adesso che avevo imparato ad amarlo? Proprio adesso che lui aveva imparato ad amare me?
Comincio a piangere e nemmeno me ne rendo conto. Mi accascio davanti a questa lapide così fredda, così distante. Eppure sento che mio padre, allontanato da me dalla morte, non mi è mai stato così vicino.
Assurdo, vero? Anche lui ha sofferto tanto. Per orgoglio non l'ha mai fatto capire a nessuno e alla fine è morto con il cuore gonfio di dolore. Non riesco a provare odio verso di lui. Solo amore. Amore e compassione.
Addio papà. Ti saluto adesso come meriti perché finalmente mi sento in grado di farlo. Ti perdono per tutto quello che mi hai fatto e per quello che non sei stato in grado di darmi. Che possa trovare pace, ovunque tu sia.
Sto per rialzarmi, quando sento una mano appoggiarsi sulla mia spalla. Mi volto. È mia madre.
Si inginocchia vicino a me senza guardarmi. Fissa il nome del marito su quella lastra di marmo e non dice nulla. Semplicemente mi porge la mano. La lascia lì, a mezz'aria. Aspetta che sia io ad afferrarla.
Esito. Non ne sono sicuro. Alla fine mi lascio andare e la stringo forte. Poi, prendendola per quella mano, la avvicino a me e la abbraccio. Siamo in posizioni precarie e questo movimento così brusco ci fa cadere definitivamente per terra. Non ce ne importa.
Restiamo lì abbracciati per un tempo infinito. Il sole che comincia a tramontare colora di rosso i nostri visi.
Quando cominciamo ad avere freddo, ci alziamo.
"Devo andare a casa mamma, a Baker Street" dico staccandomi da lei.
"Mi dispiace, Sherlock, davvero"
"Non hai nulla di cui rimproverarti" le dico. Se ho perdonato mio padre, posso perdonare anche lei.
"Anche Arthur vuole parlarti, vuole starti vicino …"
Questo, però, è troppo. Lui proprio non posso accettarlo.
"Devo andare" dico.
Non voglio farla soffrire. Non voglio dirle che non potrò mai accettare l'uomo che lei ama come mio padre. Non le lascio il tempo di ribattere. Le do un piccolo e lieve bacio sulla guancia e mi giro. Alzo il bavero del cappotto per proteggermi dal leggero venticello che si è alzato e mi allontano con le mani in tasca.
Lei non ha fatto nulla per fermarmi. Mi conosce. Sa che deve darmi i miei tempi. Per questo, non sono sicuro di quanto tempo mi ci vorrà. Posso accettare che lei si sposi con un altro. Non sono mica un bambino! La cosa che non potrò mai concedere ad Arthur è di essere mio padre. Siger non è riuscito a farlo standomi vicino, ma almeno lui c'era! Arthur per me non ha fatto neanche quello. Si è tolto l'impiccio.
Posso concedergli che è stata anche un po' colpa di Siger. È stato lui a separare gli amanti, a fargli promettere di non rivedersi più. Questo, però, non lo giustifica. Tutti e tre sapevano la verità e hanno preferito tacere.
Avrei potuto capire finché ero bambino, ma adesso? Insomma, quei due si frequentano da più di due anni! Mia madre sapeva benissimo che vivo con John, il figlio del suo amante! Avrebbero potuto parlare! Avremmo capito! Invece no! Hanno dovuto aspettare la morte di mio padre per dirmi tutto! Chissà poi se l'avrebbero fatto se non li avessi scoperti io!
Cammino spedito verso casa, quando un SMS mi raggiunge.
John 20.02
Stasera ho un appuntamento. Penso che dormirò fuori. A domani. JW
Bene, perfetto! Una bella serata solitaria! Non è proprio quello di cui ho bisogno. Rallento il passo. Proprio non ho voglia di stare a casa da solo. So che ad aspettarmi ci sarà solo il violino. Una lunga nottata che passerò a suonare per tenermi compagnia.
Forse, però, mi farà bene. Devo riflettere a lungo. Capire quello che voglio. Capire se posso accettare la presenza di Arthur nella mia vita. Potrei semplicemente considerarlo come un soprammobile, di quelli che si impolverano sopra i centrini di pizzo. È un elemento estraneo, una nota stonata. Non lo posso accettare. Lo posso sopportare. Ma non lo posso considerare parte della mia vita.
Con John sarà diverso. L'amore che ho sempre provato per lui ha acquistato un significato nuovo, diverso, più completo. Non potevo immaginare di meglio.
Fin dal mostro primo incontro mi ha trasmesso una sensazione che mai in vita mia avevo provato. Una sensazione di protezione, di calma, di tranquillità.
Sono stati i suoi occhi. Gli occhi di quel bambino che, tanti anni fa mi ha calmato all'improvviso. Io non potevo ricordarmi di quell'episodio in modo razionale, ma è tornato alla mia mente in modo spontaneo, come se aspettasse di rivelarmi qualcosa.
Mi viene da sorridere pensando a John. Chissà dove sarà ora? Dove avrà portato la sua bella di turno? Spero sia quella giusta, stavolta. Lo spero tanto per lui. Se lo merita.
E io? Cosa mi merito io? Chi mi merito? Una donna di cui posso nutrire scarsa fiducia, che mi ha tradito più di una volta, che mi ha fatto soffrire, mi ha umiliato … allora perché la cerco? Perché la amo? La maledizione di mio padre si abbatterà anche su di me? Sarò costretto a vivere una vita nel perenne dubbio che la donna che amo mi menta?
Sono già arrivato? Non volevo fare così presto, eppure mentre pensavo non me ne sono reso conto. Entrando saluto la signora Hudson e mi avvio verso il mio appartamento. Il silenzio mi pesa, stasera.
Guardo il violino, chiuso nella sua custodia. Non ho voglia di suonare. Ho gli occhi stanchi e pesanti. Mi preparo velocemente un tè caldo. Il rumore dell'infuso che riempie la tazza rompe il silenzio che mi ronza attorno come una mosca fastidiosa.
Vado in camera e mi spoglio lentamente. Mi pesano anche i vestiti. Voglio liberarmi di qualsiasi intralcio. Il tessuto leggero del pigiama mi fa sentire meglio. Avvicino la poltrona alla porta finestra della mia stanza e mi siedo con le ginocchia raccolte sul petto. Guardo fuori. Da questa posizione riesco a vedere bene la strada. Spero che John torni presto.
Bevo il tè con piccoli e meditati sorsi. Me lo voglio gustare. Il suo odore, il suo calore, la sua consistenza sulla mia lingua, il suo sapore. Mi inebrio di questa perfezione. Mi lascio cullare da queste sensazioni.
Per tanto tempo ho potuto trovare conforto solo dalle cose o dal mio cervello. Mi manca qualcuno da abbracciare e da cui essere abbracciato.
Mi stringo nelle spalle. Nonostante il tè caldo, sento freddo. Sulla poltrona è appoggiata una coperta. È bella pesante ma ho freddo lo stesso. Non riesco a smettere di tremare. Conosco questa sensazione.
Cerco di respingerla. Non voglio cascarci di nuovo. Mentalmente sono sereno, almeno credo. Eppure il mio corpo comincia a reclamare qualcosa che gli viene negato dalla ragione. No, non posso ricominciare. Ho deciso che avrei smesso quando ho voluto sapere la verità su mio padre. Ora so tutto, mi sento in pace con me stesso e voglio continuare così. non è ammissibile che una stupidissima crisi d'astinenza mi blocchi! Non voglio fermarmi per così poco!
Voglio vivere pienamente la mia vita, dannazione!
Non so cosa fare. Guardo la mia cassaforte. È li che tengo quello che non voglio che John veda. Esito. Sarà il caso? E poi? Dovrò continuare così? Schiavo della droga? No, devo riuscire a superare questa crisi da solo. Nessuno può essermi d'aiuto. Neanche John. Non lo voglio far preoccupare.
Decido per qualcosa di più 'leggero'. Mi avvio in cucina dove ci sono tutte le mie provette. Dovrei riuscire a sintetizzare un buon sonnifero. Almeno quello! Così smetterei di tremare. Ho bisogno di dormire.
Cerco di dosare con precisione gli elementi ma è difficile. Alla fine ottengo un risultato quasi soddisfacente.
Me lo inietto direttamente in vena e già sento l'effetto. Faccio giusto in tempo ad arrivare al letto che tutto si fa buio. Sprofondo in un sonno senza sogni.