Respira. Sospira, adagio. Afferra i bordi sfilacciati della giacca e se la stringe maggiormente addosso. Gli rimanda una eco che non sa bene come collocare fra i suoi pensieri. Ma è qualche cosa di piacevole, per una volta, qualche cosa da cui non sente il bisogno di staccarsi, che non deve necessariamente rifuggire. Sospira ancora e per un momento, un unico istante, si rilassa e smette di pensare, smette di aver paura, di cercare la via più breve per correre lontano. Un unico momento, ma che lo fa stare bene in un modo in cui non ricorda di essersi mai sentito. Ha quasi il desiderio di… Deglutisce, improvvisamente a disagio con quel che gli mostra la propria testa. Ma quel desiderio è ancora lì e preme con frenetica disperazione per convincerlo a muoversi, a fare qualcosa, qualcosa di bello.
Sta letteralmente fremendo dalla voglia di urlare di gioia. Si limita a sorridere come un perfetto idiota, e a osservare quella piccola creatura appallottolata nella sua giacca logora. D'un tratto un movimento che non si attendeva lo fa trarre un brusco respiro e trattenere il fiato per l'aspettativa.
Il ragazzino si è rimesso seduto e si guarda intorno. Sembra un poco spaesato. Le sue dita disegnato forme ignote fra la polvere del terreno, poi tornano a stringersi sulla stoffa ruvida della giacca di Hutch. Quando piega le ginocchia per alzarsi in piedi Hutch va nel panico per un lungo istante. Se intendesse andarsene? Se avesse fatto la cosa sbagliata e ora… Ma le sue cupe riflessioni vengono interrotte da un nuovo movimento del ragazzino che, invece di prendere la via per allontanarsi, sembra intenzionato a farsi più accosto a Hutch. Hutch che non è affatto più sereno e torna ad arrovellarsi furiosamente su quel che sarebbe più opportuno fare. Chiude gli occhi e finge di dormire, perché non è mai stato un granché ad agire in fretta di fronte a situazioni ignote e l'unico modo che ha trovato per risolvere il suo imminente problema non gli permetterà di tenere sotto controllo la situazione. Bravo Hutch, gran bella pensata!
È ancora pieno di incertezza. È giusto? È sbagliato? È una pazzia? Non ha una risposta. Tuttavia quell'ignota sensazione ancora permane dentro di lui e, questa volta, non gli lascia scelta.
L'uomo sembra dormire. Non può esserne certo; è ancora troppo distante e non c'è luce a sufficienza. Può darsi che dorma, ma anche se così non fosse cambierebbe ben poco quel che intende fare. Rinserra la presa sui lembi della giacca e procede cauto evitando le pietre più ingombranti. Si chiede per quale ragione quell'uomo si sia posizionato così lontano dal fuoco, poi si dà una risposta sensata: ovviamente non può accostarsi troppo, dopo quel che è accaduto con la sua casa. Forse sarà costretto lontano dal fuoco per molto tempo, forse per sempre.
E infine è da lui, sfiorando appena un suo ginocchio con la punta delle scarpe. Non c'è modo di tornare indietro, non senza dover sopportare il peso di una rinuncia che deriverebbe unicamente da una sua debolezza. Forse è davvero sbagliato, ma non in quel momento, non per lui. E non è come se non avesse mai compiuto un gesto sbagliato, vero?
Trae un lungo respiro. Chiude gli occhi. Un altro respiro profondo. Si accoscia a fianco dell'uomo e osserva il suo viso. Sembra rilassato, a una prima occhiata, ma il suo respiro è irregolare e procede a scatti. Posa una mano sul suo petto e lo avverte sussultare appena. Va bene: il grosso, sciocco bestione è sveglio e finge di non esserlo. Può convivere con questo. Comprende la sua tensione, sa di avergli dato più d'un motivo per essere apprensivo.
Si siede a terra, proprio lì, accanto al suo fianco. Si attarda ancora qualche momento a osservarlo. È assurdamente ingombrante, eppure in quel momento non gli dà una sensazione di pericolo né di allarme. Di nuovo chiude gli occhi, si appoggia contro il suo fianco, drappeggia i lembi della giacca sopra di loro e posa una guancia sulla sua camicia tiepida e polverosa.
Sospira.
Arriccia le labbra in un tenue sorriso.
«Il mio nome è Cat. Se vuoi, puoi usarlo.»
Ha gli occhi sbarrati rivolti al cielo stellato. Il respiro corto. E un nome, il nome di quella piccola creatura incomprensibile: Cat. Ha un nome, finalmente. E il capo del ragazzino che poggia tranquillo sul suo petto. Oddio.
Rimane in silenzio per il resto di quella notte inaspettata. Se si azzardasse a parlare probabilmente direbbe qualche cazzata assurda, oppure la cosa sbagliata. Ritiene più saggio tacere e rigirarsi in testa il suo nome, che non vede l'ora di poter pronunciare ad alta voce all'alba del nuovo giorno. È già molto tardi quando finalmente prende sonno, e sulle sue labbra aleggia un sorriso felice.
Ha commesso un errore? Oppure ha fatto la cosa più giusta che potesse permettersi? È strano, ma non si sente troppo spaventato, magari giusto un pochino, ma niente a che fare con il solito terrore di finire in trappola. La verità è che al momento si sente soddisfatto, pur non sapendo come questo sia possibile. Ha l'impressione di aver fatto un passo avanti verso la direzione giusta, anche se non ha idea di quale sia né di dove lo condurrà.
Il lieve, ritmico sollevarsi del petto di Hutch Bessy ha lo strano potere di infondergli tranquillità. Chissà, potrebbe persino riuscire a dormire senza finire in uno dei suoi sogni gelidi. Accidenti, questa sì che sarebbe la miglior notizia in assoluto da… beh… almeno nove anni, ha idea. Lentamente, il respiro profondo e regolare dell'uomo lo culla fino a farlo sprofondare nel sonno. Si risveglierà solamente a tarda mattina, con il sole già alto e rovente, e l'ennesimo buco nello stomaco che, a dispetto di tutto, non riesce a rovinare il suo umore curiosamente buono per merito di una notte inaspettatamente tranquilla e riposante.
«Cat» lo raggiunge la voce profonda e un poco assonnata di Hutch Bessy.
Sbuffa e si stiracchia. «Scommetto che non vedevi l'ora di poterlo dire ad alta voce» lo sbeffeggia. Leva gli occhi su di lui e lo ritrova intento a sorridergli.
«Hai indovinato» ammette senza perdere l'espressione raggiante. «Ma hai detto che posso usarlo quando ne ho voglia.»
«Affatto. Ho detto che potevi usarlo se lo avessi voluto. Ma ti avverto: se pensi di prendermi per il culo impunemente, io fossi in te presterei attenzione al tuo di culo» lo minaccia con un sogghigno abbastanza inquietante.
Hutch scuote la testa e mette le mani avanti. «No, no! Farò il bravo e mi limiterò a usarlo solo per scopi legittimi.»
Lo sogguarda scettico, scrolla il capo e leva gli occhi al cielo. «Meglio così, allora. Vogliamo andare?» propone.
«Ai vostri ordini!» esclama gioioso, affrettandosi a smantellare il loro bivacco per rimettersi finalmente in viaggio verso casa.
