Nota d'autrice
Please do not propose yourself as an artist by DM or in the comments. Unfortunately I am not looking for artists at the moment, if I need it I will look for it myself!
Anche questa è una vecchia bozza rimasta nel cassetto e cavolo ... sono uscite 32 pagine!
Mi stimola sempre parlare degli Shitennou in qualsiasi linea temporale. Datemi un feedback nei commenti!
Per favore non proponetevi come artisti per DM o nei commenti. In questo periodo non sto cercando artisti, se ho bisogno sono io a cercare!
Il Cercatore e il Principe di Cenere
Un uomo dormiva, ma il suo non era un sonno tranquillo. Aveva il volto corrucciato e, nel sonno, mormorava parole prive di senso.
Aprì gli occhi di scatto. La prima cosa che vide fu il soffitto della sua camera da letto. Inspirò profondamente mentre il cuore gli martellava in gola. Si liberò delle lenzuola aggrovigliate e si alzò. Il Cercatore, questo era uno dei nomi, si vestì rapidamente, indossando la sua divisa militare con la maestria di chi è abituato a essere veloce ed efficiente.
Posò una mano sul petto e respirò profondamente. Ora era più calmo.
Quel sogno, che l'aveva tormentato durante la difficile notte, doveva significare qualcosa. E sapeva chi poteva aiutarlo a scoprirne il significato.
Entrò nel tempio consacrato alla Dea Gaia, dove giovani novizi e novizie, nelle loro tuniche, stavano sistemando il luogo per la prima celebrazione della giornata. Il Cercatore chiese a uno di loro dove si trovasse la Papessa, e il novizio gli rispose che era nel giardino del tempio. Il Cercatore si diresse con passo sicuro nella direzione indicata. Il profumo delle piante e dei fiori lo avvolgeva man mano che si avvicinava.
Sorrise guardando i fiori profumatissimi, benché stessero perdendo il loro splendore: l'estate stava cedendo il passo all'autunno.
Al centro del giardino sedeva la Papessa, una donna di mezz'età dai tratti dell'America Centrale e i capelli nerissimi raccolti in una folta treccia. Accanto a lei c'era una bambina dai lineamenti indiani, che si inchinò rispettosamente appena vide il Cercatore.
La Papessa sorrise, lo salutò con un gesto della mano e andò dritta al punto:
"Carnelian, cosa vuoi chiedermi?"
Il Cercatore o Carnelian si avvicinò e abbassò la voce:
"Papessa, ho fatto un sogno in cui credo che la Dea Gaia volesse rivelarmi qualcosa. Ho bisogno di parlare con lei."
La Papessa assunse un'espressione seria. Qualunque sacerdotessa di Gaia poteva essere un tramite, ma solo lei era in grado di reggere a lungo la presenza della Dea nel proprio corpo.
"Mio caro Carnelian, avrai il mio aiuto, ma non sarò io il tuo tramite."
Indicò la bambina, che sgranò gli occhi sorpresa. Il Cercatore la osservò scettico e si chinò per sussurrare alla Papessa:
"Non è troppo giovane?"
La donna sorrise con indulgenza.
"Ha talento. Molto talento… probabilmente mi succederà."
A quelle parole, i suoi occhi si posarono su quelli della bambina, pieni di intelligenza e curiosità.
Il Cercatore annuì e si inginocchiò. Ora era alla stessa altezza della giovane apprendista e le chiese aiuto. La bambina era entusiasta, sembrava incapace di contenere l'emozione per quell'opportunità di mettere alla prova le proprie capacità spirituali.
La Papessa interrogò l'apprendista, chiedendole di ricapitolare il procedimento. Quando ottenne tutte le risposte corrette, sorrise e le acconsentì di procedere.
L'apprendista chiuse gli occhi e rivolse i palmi delle mani verso la terra. Per un lungo momento, che sembrò un istante, il Cercatore la vide chiudere gli occhi. Poi la bambina aprì di scatto gli occhi.
Le sue iridi erano diventate nere. Quando parlò, la sua voce infantile era stata sostituita da quella di una donna adulta.
"Sapevo che avresti agito… per questo sei uno dei miei Cercatori preferiti. Sei sveglio, Carnelian."
Il sorriso dell'apprendista era beffardo e stonava con il resto del viso, ma il Cercatore era abituato alla scena: succedeva a tutti i sacerdoti e sacerdotesse di Gaia di assumere i tratti caratteristici della Dea durante la possessione.
"Hai capito cosa devi cercare?" domandò la Dea con voce altezzosa.
Il Cercatore annuì.
"Il tesoro che mi chiedi di cercare è il tuo ultimo campione, Kunzite, vero?"
"Sì. È lontano da qui, molto lontano."
La Dea Gaia aprì le braccia in modo plateale e fece una giravolta su se stessa.
La Papessa intervenne incerta:
"Dea Gaia, lo Shitennou dell'Ovest non sarà il figlio di una sacerdotessa?"
La bambina posseduta dalla Dea si girò verso la Papessa, e il sorriso si allargò in un ghigno malizioso.
"No, serva mia. Il mio ultimo sposo non sarà il figlio di una sacerdotessa. Tempo fa qualcuno ha chiesto il mio aiuto."
La Dea piantò gli occhi in quelli del Cercatore.
"Ed è arrivato il momento di pagare."
Incrociò le dita delle mani e inclinò la testa.
"Nessuno rompe una promessa fatta a me. Nessuno può scappare dalla terra che calpesta. E nessuno, di conseguenza, può scappare da me."
L'espressione della bambina era disturbante. Il Cercatore fece fatica a mantenere il contatto visivo. Per evitare che la Dea continuasse a farla comportare come un burattino, domandò:
"Ho visto sabbia dal colore rossastro nel mio sogno. È il Deserto dell'Ovest?"
La Dea ridacchiò e annuì. Sembrava divertirsi a mettere a disagio tutti.
"Non sarà facile, ma a Ovest troverai il mio ultimo sposo."
Poi divenne seria e grave.
"Non deludermi."
L'apprendista chiuse gli occhi, e la presenza ingombrante della Dea sparì.
Sfinita dalla possessione, la bambina vacillò, ma la Papessa la afferrò dolcemente e la attirò a sé.
"Ce l'ho fatta?" domandò con voce piena di orgoglio. Ogni traccia di malizia adulta era scomparsa dal suo volto e dai suoi gesti.
"Sei stata estremamente brava."
La Papessa le accarezzò il viso.
Il Cercatore chinò la testa e ringraziò l'allieva, stupefatto dalle sue capacità. La Papessa aveva ragione: quella bambina sarebbe stata la sua erede, un giorno.
Il Cercatore organizzò nei minimi dettagli la partenza per il Deserto dell'Ovest, un ambiente ostile e imprevedibile. Aveva scelto di farsi accompagnare da due ex allievi, specializzati nell'arte della ricognizione.
Dopo pochi giorni di viaggio, si resero conto di non essersi preparati a sufficienza. Una tempesta di sabbia li sorprese e furono costretti a fermarsi. Quando la tempesta era finita, l'ambiente era completamente cambiato e avevano perso dei punti di riferimento. Non si persero completamente: i poteri del Cercatore non lo avrebbero permesso. Chiuse gli occhi e respirò profondamente l'aria densa di polvere, poi invocò mana dentro di sé. La prima cosa che avvertì fu la paura dei suoi uomini, seguita dalla propria. Non la respinse: la accolse, come si accolgono vecchie amiche, e la lasciò andare, concentrandosi solo sul qui e ora.
La sua visione interna si fece più chiara. Poggiò una mano sul terreno sabbioso e ricevette una lenta scarica di energia, seguita dal suono distante di un
ruscello d'acqua.
Quando aprì gli occhi, si accorse che il suo sguardo puntava verso Ovest. Le
parole della Dea Gaia gli tornarono in mente.
"A Ovest troverai il mio ultimo sposo."
Il Cercatore si voltò verso i suoi uomini e sorrise in modo incoraggiante.
"C'è un'oasi a Ovest. Potremo riposarci lì, trovare altre provviste e riorganizzare la nostra missione."
Le sue parole risollevarono il morale dei due uomini. Le capacità del Cercatore erano leggendarie: se diceva di sapere dove trovare riparo, allora sarebbe stato così.
Arrivarono all'oasi lentamente, esausti, mentre il sole stava calando. Avrebbero voluto gettarsi all'ombra delle palme e dormire, ma i loro doveri vennero prima. Si occuparono dei cavalli: erano stati scelti per la loro resistenza, ma sembravano stremati dal viaggio. Li accudirono con cura, perché se fossero morti, nemmeno i poteri del Cercatore avrebbero potuto salvarli. Dopo aver riorganizzato le provviste, il Cercatore si allontanò per cercare cibo. Trovò datteri e qualche altro frutto capace di resistere al calore e alla siccità.
Più tardi, ordinò ai suoi uomini di riposare per primi, nonostante le loro proteste.
"Ma Maestro, ha già ceduto il turno per mangiare. Si riposi per primo."
Il Cercatore rise.
"Per me siete ancora i miei allievi. Se posso farvi una gentilezza in più, non mi pesa."
Dopo una breve discussione, raggiunsero un compromesso: il Cercatore avrebbe riposato accanto a uno dei soldati, mentre l'altro sarebbe rimasto sveglio.
I due allievi avevano avuto ragione a insistere: il Cercatore si risvegliò nella tarda mattinata, più stanco del previsto. Mentre dormiva, i due soldati avevano fatto un secondo giro dell'oasi e raccolto altra acqua e provviste.
Con la mente più lucida, riorganizzarono l'itinerario. Grazie ai suoi poteri, il Cercatore individuò la direzione da prendere. Restava solo da decidere quando ripartire: subito o al calare del sole.
Era il primo pomeriggio e il caldo era già opprimente. Viaggiare sotto il sole sarebbe stato un suicidio per loro, che non erano abituati a quel deserto. D'altro canto, partire di sera poteva essere rischioso: non conoscevano abbastanza la zona per anticiparne i pericoli.
Il Cercatore sapeva sempre dove dirigersi, ma non cosa avrebbe incontrato lungo il cammino.
Mentre discutevano il da farsi, tutti e tre portarono istintivamente la mano alle proprie armi.
Qualcuno si stava avvicinando.
Era l'ora più calda del giorno. L'aria rarefatta tremolava sull'orizzonte, confondendo i contorni delle cose.
Tra i bagliori tremolanti, scorsero delle macchie grigie. Distinte, lontane, ma in avvicinamento.
"Non saranno predoni del deserto?" domandò allarmato uno dei soldati.
Il Cercatore non rispose. Socchiuse gli occhi, cercando di distinguere meglio quelle figure. Poi, all'improvviso, le riconobbe.
Erano gli Uomini Cenere. Venivano chiamati così per via della particolare sfumatura delle loro vesti.
Quel nome era un soprannome dato loro dagli stranieri, come il Cercatore, che in quel momento non riusciva a ricordare il loro vero nome. Sapeva che erano una società pastorale e che le loro strategie di ordine sociale, nella cultura del Regno della Terra, erano considerate peculiari. Ma il Cercatore aveva viaggiato troppo e studiato abbastanza per non giudicare le tradizioni altrui. Ogni popolo aveva trovato il proprio modo di vivere la Terra.
"No, mio caro. Perlomeno, non tutti gli Uomini Cenere lo sono."
Rispose con un ritardo voluto, mentre le sagome grigie si rivelavano due uomini, il volto coperto da un velo dello stesso colore.
Si avvicinarono con cautela, notando le armi sguainate e l'aria provata dei tre viaggiatori.
"Non siamo qui per combattere, ma per riposarci prima di tornare a casa", disse uno di loro. Parlava con un forte accento, usando la lingua della Luna, imposta da tempo come lingua ufficiale della Terra. Aveva occhi nocciola e dolci.
Il Cercatore lo scrutò, fidandosi del proprio istinto. Dopo un attimo di esitazione, tolse la mano dall'elsa della spada. Guardò i suoi uomini e fece un cenno con la testa: anche loro dovevano abbassare le armi.
Uno dei soldati obbedì subito, fidandosi del giudizio del Maestro. L'altro, più riluttante, attese qualche istante prima di eseguire l'ordine.
"Siete stati assaliti da predoni?" chiese l'uomo dagli occhi nocciola.
"No, una tempesta di sabbia."
Poi lo salutò nella lingua della loro gente. I due sconosciuti rimasero sorpresi.
Il Cercatore aveva un potere in comune con gli Shitennou: poteva parlare qualsiasi lingua della Terra.
Gli Uomini Cenere chiesero maggiori dettagli sull'incidente. Il Cercatore spiegò che, nonostante la loro preparazione, erano stati sorpresi da una tempesta di sabbia.
Fu allora che i due sconosciuti li studiarono meglio. Gli abiti dei viaggiatori erano molto diversi dai loro.
"Mi dispiace per la vostra sventura." La voce del secondo Uomo Cenere era bassa e grave. "Siete fortunati: l'accampamento della nostra tribù non è lontano da qui. Vi accompagneremo e vi daremo cibo e informazioni per il viaggio. Se il vostro cammino è lungo, potreste barattare i vostri cavalli con i nostri dromedari. Il nostro capo conosce bene queste terre. Potrà indicarvi i villaggi più vicini."
Sollevò lo sguardo al cielo e si schermò il volto con la mano.
"Partiremo nel tardo pomeriggio, quasi al calare del sole."
L'unico momento di tensione fu durante le presentazioni, quando il Cercatore e i soldati rivelarono i loro nomi. I due Uomini Cenere eslamarono con curiosità:
"Perché avete il nome di oggetti?"
"Non sono nomi di oggetti, ma di pietre. È per onorare la Dea Gaia!" rispose piccato uno dei soldati.
Il Cercatore sorrise e commentò, fissando il suo collaboratore: "I nostri nuovi compagni erano solo curiosi." Poi continuò: "Come ha detto il mio compagno, i nomi delle pietre sono per onorare la Dea Gaia: come le pietre, siamo anche noi prodotti della Terra."
"La famiglia reale, però, ha nomi di persone. Sbaglio o l'erede al trono si chiama Endymion?"
"Corretto. Noi, però, come parte dell'Ordine della Dea Gaia, prendiamo un altro nome quando iniziamo la nostra missione, soprattutto chi lavora per gli Shitennou."
"Quindi voi avete anche un nome umano e non solo il nome di un oggetto." La frase era senza tatto, ma nel commento non c'era né malizia né giudizio.
Il Cercatore percepì la tensione sui volti dei suoi ex allievi: sapeva che alcuni membri dell'Ordine avevano avuto difficoltà ad adattarsi a un nuovo nome, a una nuova identità. Cambiò argomento e cercò di portare la conversazione su toni più leggeri.
Quando finalmente il sole tramontò, partirono. Il viaggio con gli autoctoni si rivelò molto diverso: arrivarono al villaggio poco dopo il calare della notte.
Arrivati al villaggio, l'atmosfera era vivace. Dei bambini giocavano attorno al fuoco, mentre le donne e alcuni uomini velati preparavano la cena.
Uno dei soldati, dopo aver notato che le donne avevano il volto scoperto, domandò:
"Maestro, perché solo gli uomini indossano un velo?"
Il Cercatore sussurrò la risposta:
"La funzione pratica è difendersi dalla sabbia e dal sole. Dal punto di vista sociale, invece, è il simbolo di bambino che ha raggiunto l'adolescenza: non è facile vivere nel deserto e non tutti ce la fanno."
I loro accompagnatori li condussero davanti alla tenda più grande del villaggio. Seduto all'esterno c'era un uomo dall'età indefinibile: il velo gli nascondeva il viso, ma non gli occhi grigi metallo, che si posarono sulle vesti del Cercatore e dei suoi soldati.
L'uomo parlò nella lingua lunare con voce calma e decisa:
"Non abbiamo molti visitatori dalla Capitale. Il mio nome è Amayyas, potete rivolgervi a me come Capo." Poi indicò i suoi uomini. "Immagino che abbiate avuto qualche problema nel deserto e che i miei amici vi abbiano aiutati."
Il Cercatore mostrò il suo rispetto con un mezzo inchino, e il Capo villaggio gli fece cenno di sedersi accanto a lui. Il Cercatore e i due soldati obbedirono.
"Sì, siamo stati coinvolti in una piccola tempesta di sabbia. Abbiamo poi trovato la strada per un'oasi, dove alcuni membri del vostro villaggio ci hanno trovato."
Il Capo Amayyas lo osservò con espressione indecifrabile.
"Come avete trovato un'oasi? Siete baciati dalla fortuna..." disse impressionato.
"Il deserto non è un luogo facile per orientarsi."
Il Cercatore mantenne lo sguardo fermo e rispose semplicemente:
"Sono un Cercatore della Dea Gaia."
Fu solo un attimo, ma Carnelian notò un impercettibile sussulto nel Capo villaggio quando sentì quella parola.
"Il mio nome è Carnelian e questi..." indicò i due soldati "...sono i miei compagni."
Il capo Amayyas li studiò con i suoi occhi penetranti, poi commentò:
"Sono giovani..."
"Sono stati miei allievi." Specificò il Cercatore, con una nota di orgoglio.
Il Capo rimase in silenzio per qualche istante, poi si alzò e concluse:
"Dovete essere stanchi. Cenate con noi e poi parleremo di ciò di cui avete bisogno. Magari domani mattina, con calma."
Le sue parole erano gentili, ma la seconda parte della frase suonava più come un ordine che una proposta. Il Cercatore e i suoi uomini lo percepirono chiaramente: Amayyas voleva chiudere la conversazione.
Cenarono insieme ai membri del villaggio attorno a un fuoco. L'atmosfera era allegra, e i bambini pieni di vita e salute assalirono gli stranieri con mille domande, rivolgendosi soprattutto al Cercatore, che parlava fluentemente la loro lingua.
Ma i bambini non conoscono barriere: dopo un po', cominciarono a formulare domande anche nella loro impacciata lingua lunare. Quello sforzo commosse i due soldati, che iniziarono a rilassarsi e a godersi l'ospitalità del villaggio.
Dopo cena, issarono la loro tenda e si prepararono per la notte, addormentandosi insieme al resto del villaggio.
Ma il Cercatore non si addormentò facilmente.
Sdraiato su un fianco, fissava l'entrata chiusa della sua tenda, pensieroso.
Il suo istinto sembrava non volerlo lasciare dormire.
Con molta fatica, il Cercatore Carnelian si addormentò.
Come promesso, il giorno dopo il Cercatore fu invitato nuovamente nella tenda di Amayyas. Erano soli.
L'uomo si tolse il velo, rivelando una capigliatura scura intrecciata in una stretta treccia e una barba folta e ben curata, che fino a quel momento era rimasta nascosta. Eppure, era chiaro che non fosse solo una scelta dettata dalla vanità.
Il Cercatore lo osservò attentamente e notò i segni di una vecchia malattia, in parte nascosti dalla barba.
Un altro particolare attirò la sua attenzione: Amayyas indossava curiosi orecchini pendenti a forma di rombo allungato. Il Cercatore non aveva mai visto nulla di simile nella Capitale. I Lunari amavano le forme curvilinee nei loro gioielli. Il suo sguardo non fu discreto, e Amayyas sorrise, toccandosi delicatamente uno degli orecchini.
"Questi orecchini appartengono a una coppia uguale. Io e mia sorella li indossavamo insieme."
Porse al Cercatore una tazza di tè. Carnelian la prese e girò il liquido tra le mani, soffiandoci sopra con delicatezza.
"Adesso l'altra coppia appartiene a mio nipote."
"L'ho incontrato?" domandò il Cercatore, bevendo un sorso di tè.
"No, è andato a fare la transumanza con altri pastori. Tra pochi giorni tornerà a casa, se la Dea Gaia vorrà."
Questa volta fu Amayyas a bere il tè.
Ci fu un attimo di silenzio. Il Cercatore non aveva fretta.
"Capo, non ci girerò attorno. Come Cercatore della Dea Gaia, sto cercando qualcuno per lei."
Mentre posava la tazza, Carnelian notò qualcosa: per un attimo, Amayyas aveva stretto nervosamente la propria, per poi rilassare la presa.
"Che cosa cerca per la Dea Gaia?"
Il Cercatore si accorse che Amayyas aveva scelto deliberatamente la parola cosa invece di qualcuno. Strano… un errore linguistico? Poteva essere perché stavano entrambi parlando lunare, per insistenza del capovillaggio.
"Sta cercando il suo quarto sposo, il suo campione: lo Shitennou dell'Ovest."
Amayyas riempì nuovamente la tazza del suo ospite.
"Quindi lei e i suoi uomini vi stavate recando alla città di Khadiga?"
"Perché lo crede?" domandò il Cercatore, incuriosito.
"Il deserto non è un luogo di nascita di un re, ancora meno di uno Shitennou." La voce di Amayyas si fece più grave. "Da quello che so, gli Shitennou sono i figli naturali delle sacerdotesse o dei sacerdoti di Gaia."
Non era sbagliato. Generalmente era così: gli Shitennou nascevano dalle sacerdotesse della Dea. Non si sapeva mai quale bambino sarebbe stato scelto, ma per una sacerdotessa che partoriva uno Shitennou era un grande prestigio.
Eppure, la Dea aveva chiaramente detto al Cercatore che il suo ultimo sposo non sarebbe stato figlio di una sacerdotessa.
"Nella prima generazione gli Shitennou non erano figli di sacerdotesse", disse il Cercatore.
Amayyas incalzò:
"Su, Signor Cercatore, stiamo parlando di epoche ormai lontane, dei tempi della Principessa Schiava."
"È sempre una possibilità."
"Verissimo. Ed è anche vero che da generazioni gli Shitennou nascono da sacerdotesse di Gaia… inoltre, i loro poteri si manifestano spesso molto prima della pubertà."
"È decisamente informato sugli Shitennou per un uomo che vive lontano dalla corte terrestre," si trovò a pensare il Cercatore. "Forse nasconde qualcosa."
Decise di provocarlo.
"La prima generazione di Shitennou non manifestò i propri poteri fino a quando non incontrò la Principessa Schiava. Dagli scritti sappiamo che erano poco più che ragazzi."
Amayyas, visibilmente nervoso, posò la sua tazzina di tè vuota, e questa volta fu il Cercatore a versargli da bere. Con un sorriso, tornò a essere conciliante e disse:
"Ha ragione... a sottolineare che tali circostanze si sono verificate molto tempo fa." Fece una pausa. "Andremo a X per controllare le sacerdotesse incinte e i bambini già nati nel tempio."
Il Cercatore fissò poi il suo interlocutore, aspettandosi un passo falso: un gesto di sollievo, un minimo segno di nervosismo. Gli era ormai chiaro che Amayyas nascondesse qualcosa.
"Forse… No, è una follia… E se l'ultimo Shitennou si trovasse proprio qui, in questo villaggio?" pensò.
Doveva scoprirlo. E aveva bisogno di tempo.
"La ringrazio per la vostra ospitalità e vorremmo chiederle se possiamo restare per altri due giorni."
Nessuna risposta immediata. Solo il volto amichevole ma imperturbabile di Amayyas.
"I nostri cavalli sono allo stremo delle forze, e il viaggio fino alla città è lungo."
Amayyas inclinò leggermente la testa.
"I cavalli non sono animali adatti al deserto, anche se le vostre bestie sono molto belle."
"Sono stati selezionati tra i migliori. Inoltre, avevamo preparato degli speciali talismani per aiutarli ad affrontare il deserto. Abbiamo bisogno almeno di due giorni per ricrearli e far riposare i cavalli."
"Potremmo scambiare i vostri cavalli con dei dromedari. Noi potremmo rivenderli."
"Per quanto la sua soluzione sia intelligente, non posso tornare senza i cavalli."
Non era vero. Il Cercatore aveva assoluta autonomia decisionale durante le missioni.
Amayyas rifletté a lungo, poi annuì.
"Va bene, due giorni."
Il Cercatore rientrò nella sua tenda, dove i due soldati stavano diligentemente svolgendo i loro compiti.
Uno di loro stava ricontrollando gli approvvigionamenti, mentre l'altro aveva lavato le divise, ancora impregnate della sabbia portata dalla tempesta, e con un incantesimo del vento le stava asciugando rapidamente.
"Compagni, abbiamo bisogno di metterci due giorni per prepararci a partire. I talismani… metteteci almeno due giorni."
"Due giorni? Maestro, ma possiamo farli in mezza giornata!" esclamò il soldato che stava asciugando le divise.
"Dobbiamo rimanere qui." Il tono del Cercatore fu asciutto.
L'altro soldato smise di contare le provviste e lo guardò attentamente.
"Non dobbiamo raggiungere la città al più presto?" Poi capì. "Lei crede che qui ci possa essere il candidato di Kunzite?"
Il Cercatore fece segno di fare silenzio e abbassò la voce.
" Il capovillaggio, Amayyas, sta nascondendo qualcosa. Lo so."
Si avvicinò alla sua borsa ed estrasse una semplice sacca di velluto scuro. Pronunciò qualcosa a bassa voce e la sacca si aprì da sola.
Con delicatezza, ne estrasse una pietra dall'aspetto vetroso, di un rosa pallido.
"La Kunzite..." mormorarono i soldati, quasi incantati.
Il Cercatore sorrise con fiducia.
"Sono sicuro che non siamo finiti qui per caso. E penso che anche voi lo sappiate."
Timidamente, i due annuirono.
"Dobbiamo rimanere qui e fare la prova della pietra."
Il villaggio era altrettanto vivace di giorno, proprio come lo era stato la sera precedente. Non faceva ancora troppo caldo e, perciò, i bambini correvano tra le tende, mentre le donne lavoravano tessendo o preparando da mangiare.
Cinque anziani sedevano all'ombra, riparandosi dal sole e rilassandosi. Il Cercatore li salutò con rispetto, usando la lingua degli autoctoni.
"Buongiorno, sono l'ospite del Capo villaggio. Il mio nome è Carnelian."
"Un nome di pietra. È un soldato della Dea Gaia."
Parlò in lunare standard uno degli anziani, un uomo dallo sguardo molto intelligente.
"Conosce le abitudini della corte reale? È un mercante?" domandò con galanteria il Cercatore. L'anziano rise, ben consapevole che fosse un complimento per rompere il ghiaccio.
"Lo ero. Sono stato tra i migliori. Carnelian."
"Mi racconterebbe lei e i suoi compagni dei vostri viaggi?"
Lo accontentarono. Il gruppo era misto: alcuni erano stati mercanti, altri erano pastori. Questi ultimi si dilungarono a raccontare della transumanza e di come, tra pochi giorni, i pastori sarebbero tornati al villaggio.
"Quando torneranno, ci sarà latte e pellami da lavorare, e poi i nostri mercanti andranno a venderli."
A parlare fu un vecchio pastore, che intrecciò le dita e aggiunse con entusiasmo:
"Il lavoro dei pastori e quello dei mercanti sono uniti, proprio come quello delle donne che trasformano il grezzo in merce. Tutto, in questo villaggio, è concatenato."
Il Cercatore ascoltò con attenzione e, quando ebbero finito, li ringraziò per aver condiviso le loro storie. Poi si congedò, consapevole di aver fatto una buona impressione e di aver guadagnato abbastanza fiducia per potersi muovere liberamente nel villaggio.
Come aveva discusso con Amayyas, generalmente uno Shitennou si rivelava prima della pubertà. In altre parole, il Cercatore doveva cercare tra i bambini.
Doveva farlo senza attirare troppo l'attenzione, e la cosa non gli piaceva. Normalmente avrebbe chiesto direttamente di poter fare la prova della pietra con i candidati, ma gli era chiaro che il Capo villaggio nascondesse qualcosa.
Sospirò. Per gli Uomini Cenere, essere uno Shitennou non era un prestigio. Vivevano liberi nel deserto, lontani dagli intrighi della corte terrestre.
Il suo dovere era cercare.
E il suo intuito gli diceva di cercare lì.
Trovò un gruppo di bambini e bambine, dai sei ai dodici anni, che stavano giocando all'ombra di una grande tenda alzata appositamente per loro.
Li salutò cordialmente nella loro lingua e i piccoli si avvicinarono subito a lui, curiosi.
"Come ti chiami?" chiese uno di loro.
"Davvero abiti nella Capitale?" domandò un altro.
"Com'è la Capitale?"
E così via.
Il Cercatore rispose con pazienza a tutte le loro domande, affascinandoli con i suoi racconti.
Quando fu sicuro di aver conquistato la loro fiducia e attenzione, sorrise e disse:
"Ho un oggetto della Capitale che vi posso mostrare."
"Davvero?!" esclamò una bambina con voce particolarmente acuta.
Era l'occasione che il Cercatore aspettava.
Estrasse dalla sua sacca la rosa Kunzite.
"Ha un colore bellissimo." commentò la bambina.
Il Cercatore sorrise e fece ruotare la pietra nelle tre direzioni dello spazio. La Kunzite cambiò colore a ogni inclinazione, passando da un rosa quasi lavanda a un pallidissimo rosa.
Gli occhi dei bambini si spalancarono per la meraviglia.
La bambina che aveva parlato si avvicinò, gli occhi scintillanti per la sorpresa.
"Posso prenderla in mano?"
"Devi…" pensò il Cercatore.
Ringraziò in cuor suo che la prova della pietra fosse così semplice. Se tra quei bambini c'era Kunzite, la pietra avrebbe reagito al suo tocco, o addirittura alla sua sola presenza. Non era un metodo invasivo.
Con un sorriso, passò la pietra alla bambina.
"Certo che puoi toccarla. Poi passala ai tuoi amici. Fate solo attenzione a non farla cadere."
La bambina la osservò, rapita.
"È bellissima…"
Era chiaro che avrebbe voluto continuare a guardarla per ore, ma la passò subito quando un altro bambino le chiese di farlo.
Nel giro di mezz'ora, tutti i bambini ebbero la loro occasione di osservare la Kunzite da vicino. Il Cercatore rispose alle loro domande con gentilezza, ma la sua mente era altrove.
Era preoccupato.
"La Dea Gaia mi ha dato un indizio… ma la pietra non ha reagito con nessuno dei bambini."
"È possibile che Kunzite sia più giovane?"
"Ci sono bambini più piccoli?" domandò il Cercatore ai giovani abitanti.
La bambina annuì e indicò un'altra parte del villaggio.
"I piccoli sono con le mamme e gli zii. Noi siamo quelli grandi."
Nella sua voce si avvertiva tutto l'orgoglio della bambina, che si sentiva già adulta. Il Cercatore la ringraziò, giocò ancora un po' con il gruppo e poi si diresse verso il luogo indicato.
Lì c'erano delle donne e alcuni uomini che lavoravano al telaio e alla produzione dei formaggi, altri invece cullavano o nutrivano infanti o bambini di massimo cinque anni.
Non fu facile trovare una scusa per essere lì, ma fortunatamente lo avevano visto parlare con gli anziani e, quindi, quando iniziò a fare domande sulla loro produzione, non fu sospetto.
Inoltre, il Cercatore aveva imparato che le persone, di qualunque etnia, parlano sempre volentieri del proprio lavoro.
"Quando i nostri pastori torneranno tra quattro giorni, potremo lavorare ancora meglio perché i nostri cari saranno a casa" spiegò una delle donne al Cercatore.
"Il deserto deve essere davvero pericoloso" commentò Carnelian a mezza voce, e la donna incalzò: "Assolutamente. Il deserto sa essere crudele con i suoi figli. Sono passati troppi pochi anni per non ricordare l'epidemia."
Il volto della donna, a quell'ultima frase, si rattristò.
"Epidemia?" chiese il Cercatore, cercando di approfondire la conversazione.
I presenti si guardarono tra loro con una tacita domanda negli occhi e poi annuirono, come se avessero preso una decisione collettiva senza bisogno di parole.
"Un'epidemia ha quasi spazzato via il nostro villaggio e altri. Il nostro Capo porta i segni della malattia."
Il Cercatore era sorpreso: non aveva mai sentito parlare di un'epidemia nel deserto.
"Non avete pensato di chiedere aiuto alla Capitale?"
La donna rise, seguita da qualcun altro. Era una risata amara, proprio come le sue parole.
"Alla Capitale non importa di gente come noi. Passano il loro tempo a cercare di ingraziarsi i Lunari."
Il Cercatore non rispose. Non era sorpreso dall'atteggiamento degli Uomini Cenere.
Perché avevano ragione.
Molte piccole realtà terrestri erano rimaste isolate e senza aiuto in passato, per colpa della gestione della Capitale. Il Regno della Terra non era perfetto ed effettivamente spendeva molte energie nella gestione della politica estera con i Lunari.
Pensò il Cercatore:
"E io sono qua, come soldato della Capitale, a fare gli interessi della Corte… hanno ancora una volta ragione."
E cercò di razionalizzare:
"No, come strumento della Dea Gaia devo fare il mio dovere, anche se significa tradire la fiducia che mi è stata riposta."
Estrasse dalla sacca la Kunzite e disse:
"Questa è una pietra usata nella Capitale per benedire i bambini. Posso benedire i vostri figli, per la gentile accoglienza che il vostro villaggio mi ha dimostrato?"
Fu così che il Cercatore poté toccare i bambini con la pietra e ad ognuno di loro dedicò una preghiera sottovoce.
La pietra, però, non reagì.
Nulla di nulla. Molto strano… aveva fatto la prova con tutti i bambini e preadolescenti, non era possibile… sapeva che Kunzite era qui.
Gli venne un'idea. E se Kunzite fosse un adolescente?
Un adolescente… Non succedeva dai tempi della Principessa Schiava: il più giovane degli Shitennou era stato Nephrite, che all'epoca aveva appena quattordici anni.
Il Cercatore fece una domanda apparentemente sciocca alla donna che aveva espresso così apertamente la sua opinione:
"Signora, i vostri pastori sono tutti giovani uomini?"
"No di certo!" esclamò immediatamente la donna, e il Cercatore ottenne esattamente quello che sperava. Voleva essere corretto, perché così la donna gli avrebbe dato informazioni senza bisogno di chiederle esplicitamente.
"C'è qualche adulto, giovani e qualche adolescente. Qualcuno ha messo da poco il velo."
Il Cercatore colse l'opportunità al volo.
"Tra gli adolescenti che hanno messo da poco il velo, c'è il nipote del Capo villaggio?"
La donna rise.
"Oh no! Il ragazzo ha almeno quattordici anni, forse quest'anno ne avrà addirittura quindici! Non ricordo bene, ma il velo l'ha messo già da un po'."
Il Cercatore rise per circostanza, nascondendo il suo turbamento.
Rimase lì ancora un attimo per mantenere le apparenze, ma infine si incamminò verso la sua tenda.
Nella sua tenda, chiese ai suoi sottoposti di allontanarsi perché aveva bisogno di riflettere sulle informazioni ricevute.
Sapeva che tra i bambini e i preadolescenti non c'era Kunzite.
Sapeva che il Capo villaggio stava nascondendo qualcosa e sospettava che fosse proprio l'identità di Kunzite. Era troppo informato e troppo interessato agli Shitennou per essere un uomo che non viveva a corte.
Sapeva che il Capo villaggio voleva che lui e i suoi uomini andassero via al più presto: gli aveva concesso solo due giorni.
Sapeva che i pastori sarebbero tornati al villaggio in quattro giorni…
"Due giorni, quattro giorni."
Il Cercatore ebbe un'intuizione.
"Non vuole che incontriamo i pastori."
Sentì le sue mani fremere. Il suo istinto gli stava gridando: "Kunzite è uno dei pastori."
Doveva in tutti i modi rimanere nel villaggio fino al loro arrivo.
Passò il primo giorno.
Il Cercatore uscì dalla sua tenda e si guardò intorno. Vide i suoi uomini parlare con altri membri del villaggio: sembravano più tranquilli e meno sospettosi. La cordialità degli abitanti li aveva conquistati.
Chissà se gli Uomini Cenere sarebbero rimasti così cordiali dopo il compimento della loro missione.
Il Cercatore era sicuro che Amayyas villaggio fosse venuto a conoscenza delle sue chiacchierate informali. Intuiva che sarebbero stati cacciati prima del ritorno dei pastori.
Che cosa doveva fare? Non amava i sotterfugi, se non erano assolutamente necessari. Forse era meglio parlare nuovamente con il Capo villaggio.
Mentre rifletteva su questi pensieri, decise di girare il villaggio alla ricerca del suo capo.
Lo trovò ai confini. I suoi occhi vigili fissavano l'orizzonte, in cerca di qualcosa.
Il Cercatore si intristì e pensò:
"Sta cercando qualcosa che spera non arrivi prima che io me ne sia andato."
Schiarì la voce e l'altro si voltò appena per guardarlo. Poi tornò a fissare l'orizzonte.
"Com'è andata la chiacchierata con i bambini?" domandò Amayyas con un tono fintamente cortese.
Il Cercatore intuì la sua rabbia, si avvicinò umilmente e si scusò.
"Mi scuso per le mie azioni poco cristalline, Capo villaggio" disse sinceramente.
"Ho pensato di non avere altra scelta" continuò, fissandolo negli occhi. "Non siete stato cristallino con me. Sapete chi sto cercando."
Gli occhi del Capo villaggio si fecero beffardi.
"Il deserto non è un luogo di nascita di un Re Celestiale" sentenziò di nuovo.
"Non ne potete essere sicuro, ne abbiamo già parlato ampiamente."
L'uomo smise di guardare l'orizzonte per fissare severamente il Cercatore.
"Avete fatto la prova della pietra. Kunzite non è qui."
Il tono era ancora una volta fintamente cordiale, ma il Cercatore percepiva la sua rabbia.
"È arrabbiato. E dietro la rabbia c'è sempre qualcos'altro" pensò il Cercatore.
Decise di chiedergli:
"Se trovassi Kunzite tra i membri della sua tribù, che cosa succederebbe?"
Vide il Capo villaggio visibilmente fremere a quella domanda.
"Questo me lo dovrebbe dire lei, Cercatore." Questa volta Amayyas aveva abbandonato la cortesia forzata per un tono sarcastico.
"Sarà portato alla Capitale, addestrato al suo ruolo e, quando sarà pronto, potrà essere proclamato e difendere la Terra."
Il Capo villaggio fece qualche passo in avanti, come per allontanarsi dalle parole che segnavano un destino che non voleva accettare. Scosse la testa in silenzio, osservato con empatia dal Cercatore. Poi si voltò.
"Qui abbiamo un detto: si può togliere l'uomo dal deserto, ma non il deserto dall'uomo. Capisce cosa vuol dire?"
Quelle parole erano la semi-conferma che il Cercatore cercava. Lo Shitennou non era un bambino, ancora troppo piccolo per essere legato indissolubilmente alle dune sabbiose di quello sconfinato deserto.
"Sì, vuol dire che un uomo che è vissuto nel deserto sarà sempre parte di esso."
L'altro annuì.
"Secondo lei, un uomo che ha vissuto così può essere felice nella Capitale?"
Quelle parole furono pronunciate con ansia. Il Cercatore ebbe la sua conferma: il Capo villaggio aveva paura. Nei suoi occhi color metallo c'era tanta emozione.
"Non lo so."
Ammise il Cercatore.
Poi, senza pensarci due volte, posò la mano destra sul petto e alzò l'altro braccio in un gesto di giuramento.
"Le prometto che, chiunque sia Kunzite, lo guiderò e cercherò di aiutarlo a essere felice nella Capitale."
Amayyas lo scrutò con sorpresa. Non si aspettava tanta comprensione da un uomo della Capitale.
Sorrise.
"Farà di tutto per mantenere questa promessa?"
Il Cercatore annuì con fermezza.
"Lei sa già chi è Kunzite, non è vero?"
Quella domanda fu troppo.
Il petto del Capo villaggio fu scosso da un tremito.
Rifissò l'orizzonte.
Scorse qualcosa.
E, di colpo, i suoi occhi si inumidirono del pianto che tratteneva da quando il Cercatore era arrivato nella sua casa.
"Sì."
Lo disse nella sua lingua autoctona.
Poi si voltò e se ne andò, con passi nervosi, coprendosi il volto già velato.
Lasciò il Cercatore solo a osservare l'orizzonte. Molto, molto lontano, vide delle macchie grigie farsi strada nella sabbia.
I pastori stavano tornando a casa. E uno di loro sarebbe andato via con lui.
Nel tardo pomeriggio i pastori tornarono. Ci fu un'enorme festa di accoglienza. Non solo i pastori erano tornati dal loro viaggio in anticipo, ma erano rientrati con rara mercanzia, ottenuta scambiando i loro prodotti. Il bestiame, inoltre, sembrava persino più in forma di prima, come se quel lungo viaggio l'avesse rafforzato.
Il Cercatore, nonostante la bella atmosfera, era teso. Percepiva quella festa come un addio, non come un bentornato a casa.
Scambiò un'occhiata d'intesa con il Capo villaggio, che aveva il suo stesso identico umore. No. Non era vero.
Amayyas cercava di nascondere con abilità un dolore indescrivibile.
Sopraffatto dalla tensione, il Cercatore decise di ritirarsi nella sua tenda e aspettare. Sentiva che era la mossa giusta.
O forse stava cercando di nascondersi da Kunzite?
Da quando era partito, i suoi sentimenti nei confronti della missione erano cambiati. Nei fatti, stava strappando qualcuno alla sua famiglia. Qualcuno che, probabilmente, non aveva mai desiderato la vita che gli sarebbe stata imposta.
"Perché Gaia non ha scelto il figlio di una sacerdotessa?" si trovò a pensare il Cercatore. Per la prima volta nella sua vita, sperò.
"Magari mi sto sbagliando. Il mio intuito si sbaglia."
Con questi pensieri, si sedé a terra, incrociò le gambe e iniziò a sfogliare nervosamente un testo religioso che aveva portato con sé.
"Signor Cercatore, possiamo entrare?"
Una voce squarciò la tensione nella tenda.
Il Cercatore si fermò immediatamente. Riconobbe la voce del Capo villaggio. E notò subito il noi.
"Avanti."
Disse con la voce più ferma che poteva.
Entrò il Capo villaggio con un'altra figura maschile velata. Era un po' più alto di lui e, quando i suoi occhi incontrarono quelli del Cercatore, quest'ultimo notò che aveva lo stesso sguardo metallico di Amayyas.
Il Cercatore li invitò a sedersi.
Il Capo villaggio esitò prima di farlo.
Quando finalmente si accomodarono, calò il silenzio.
A spezzarlo fu l'altra figura velata.
"Il mio nome è Yidir, Signor Cercatore."
La voce era giovanile.
"Mio zio mi ha raccontato chi è lei e qual è la sua missione. Vorrei sottopormi alla sua prova e alleggerire il suo cuore."
Disse il ragazzo con una voce limpida e calda.
Il Cercatore, che fino a quel momento era rimasto seduto con il libro aperto sulle ginocchia, si alzò e si avvicinò al ragazzo.
Osservò il suo sguardo: i suoi modi erano diretti e fiduciosi.
Ma i suoi occhi raccontavano un'altra storia.
Yidir aveva paura di essere Kunzite. E, sfortunatamente per lui, lo era.
Appena il giovane era entrato, la pietra che il Cercatore aveva addosso non aveva smesso un attimo di vibrare.
La prova era inutile. Ma fece quello che doveva fare.
Estrasse la preziosa pietra dalla tasca dei suoi vestiti, la tirò fuori dal piccolo sacchettino che la proteggeva e la posò nelle mani del ragazzo.
Non appena la pietra toccò la pelle di Yidir, si illuminò. Sembrò ancora più bella, con la sua composizione vetrosa e il suo delicato colore rosa pallido.
Il Cercatore assistette a un muto dialogo familiare.
Yidir era sorpreso.
Lo zio Amayyas deglutì, sconfitto.
Il ragazzo dapprima si voltò verso il Capo villaggio con una muta domanda negli occhi. Il Capo fece cenno di sì con la testa.
Lui lo sapeva da tempo.
Yidir rivolse al Cercatore e disse con apparente calma:
"Ma gli Shitennou sono i figli delle sacerdotesse… Né mia madre né le sue antenate sono state sacerdotesse di Gaia."
"Capisco la tua obiezione, ma non è sempre così. Gaia può decidere di benedire chiunque, a suo piacimento."
Yidir abbassò lo sguardo, riconsegnò la pietra al Cercatore e uscì dalla tenda, turbato.
Entrambi gli adulti lo seguirono con lo sguardo, ma lo lasciarono andare.
A fatica, come se fosse invecchiato di colpo, Amayyas si alzò e disse, con sarcasmo:
"La Dea benedice chiunque, a suo piacimento…"
"Mi dispiace."
Le scuse del Cercatore erano sincere.
"Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato. Ma non pensavo che questo…"
Indicò con disprezzo il Cercatore.
"… sarebbe stato davvero il suo destino."
"Dunque lo sapeva fin dall'inizio." Commentò il Cercatore.
"Ma come?"
Il Capo villaggio si svestì del velo e indicò i segni di una malattia.
"Sa dell'epidemia?"
Con un cenno da parte del Cercatore , l'altro continuò.
"Anni fa, un'epidemia feroce ha quasi distrutto il villaggio. Io e mia sorella, la madre di Yidir, eravamo i capi. La malattia ha ucciso molte persone. Compresa lei."
Il Capo villaggio toccò uno degli orecchini pendenti.
"Quando la malattia ha iniziato a colpire i bambini… io…"
Prese un respiro profondo.
Abbassò lo sguardo.
"Ho invocato la Dea Gaia, e lei, sotto forma di serpente, mi ha detto che avrebbe salvato il villaggio…"
"A una condizione." Completò il Cercatore.
"Esattamente."
L'altro sorrise, amareggiato.
"La Dea disse che il primo bambino che si sarebbe salvato sarebbe diventato uno dei generali terrestri."
Il Cercatore non osò parlare. Era diventato il testimone muto di quel racconto-confessione.
"Mi era sembrato un patto accettabile. Un villaggio intero, in cambio di una vita. Finché non ho visto che il primo bambino a riprendersi dalla malattia era il figlio di mia sorella."
Amayyas nascose il viso tra le mani.
"Yidir era l'ultimo legame rimasto che avevo con lei."
"Finché non sono arrivato io." Commentò il Cercatore, triste.
"Già."
"Mi prenderò cura di lui, come ti ho promesso." Dichiarò il Cercatore e l'altro lo scrutò con intensità.
Poi uscì e lasciò il Cercatore solo con un peso sul cuore.
Che mai prima d'ora aveva provato.
Il giorno seguente, tutto il villaggio si riunì per la partenza: il villaggio non era più in festa come il giorno precedente.
Gli sguardi erano tristi, e persino i bambini avevano perso la loro vivacità: si nascondevano dietro ai loro genitori o altri parenti.
Il Cercatore e i suoi uomini erano in piedi accanto ai dromedari che avevano ottenuto scambiandoli con i cavalli. Si tenevano a distanza dagli abitanti, che si erano riuniti per salutare Yidir.
Uno dei soldati del Cercatore, turbato, commentò sottovoce:
"Maestro… non è la reazione che mi aspettavo…"
Con dolcezza, il Cercatore spiegò: "Non per tutti noi, essere uno Shitennou è un onore."
L'altro annuì e non parlò più.
Il Cercatore fissava zio e nipote.
Amayyas piangeva con le spalle piegate dal dolore, mentre Yidir, dolce, continuava a sorridere, tentando di consolarlo.
Il Cercatore non poteva sentire ciò che si dicevano.
E poco importava.
Era più preoccupato per Yidir, che sembrava fin troppo controllato.
Appariva calmo ma ogni tanto chiudeva la mano libera a pugno, come se volesse afferrare qualcosa. Alla fine, il Capo villaggio abbracciò il nipote con trasporto. Yidir ricambiò con quasi lo stesso ardore.
Il Cercatore non sapeva quanto fosse durato quell'abbraccio. Ma era sicuro che fosse troppo poco.
Yidir sciolse l'abbraccio e salì sul dromedario con una grazia quasi innaturale.
Il Capo villaggio gli poggiò una mano sulla spalla, come per prolungare ancora quell'abbraccio.
Yidir non si mosse.
Strinse così forte le redini che le nocche divennero bianche.
Una bambina, la stessa che per prima aveva provato la pietra Kunzite, corse verso Yidir e chiese: "Tornerai a trovarci, vero Yidir?"
Yidir sorrise.
"Se potrò, assolutamente!"
Quel sorriso teso convinse il Cercatore a intervenire. Salì sul dromedario, seguito dai suoi due soldati. Si avvicinò cauto e disse al giovane:
"Dobbiamo andare."
Yidir annuì e strinse la mano dello zio sulla sua spalla.
Il corteo partì, lasciandosi alle spalle il villaggio.
Ai confini, Amayyas rimase in silenzio a osservare l'ultimo pezzo della sua famiglia allontanarsi.
Yidir si voltò un'ultima volta e salutò lo zio.
Poi, quando le tende scomparvero all'orizzonte, il ragazzo abbassò finalmente lo sguardo.
Il viaggio di ritorno fu più semplice per i soldati del Regno della Terra. Non c'erano state tempeste di sabbia o altri contrattempi. Yidir, inoltre, conosceva bene quelle dune, e l'orientamento fu più facile rispetto all'andata.
Yidir, a parte dare indicazioni, aveva parlato poco e solo se interpellato direttamente. I due soldati del Cercatore avevano provato a raccontargli delle bellezze del Regno della Terra e dell'onore che gli sarebbe stato concesso una volta benedetto come Shitennou. Avevano assistito allo straziante addio tra Yidir e il Capo villaggio e stavano davvero tentando di consolarlo.
Ma le risposte di Yidir erano state così brevi e concise da stroncare sul nascere qualsiasi tentativo di conversazione.
Il Cercatore rimase al fianco del ragazzo per tutto il viaggio, riconoscendo il dolore che stava attraversando e, soprattutto, rispettando il suo silenzio.
In poco tempo, arrivarono.
I portoni della città del Regno della Terra erano illuminati dal sole pomeridiano, riflettendo bagliori dorati sulle incisioni del simbolo del pianeta Terra: un cerchio diviso da una croce.
I soldati, nel rivedere quell'edificio tanto familiare, spronarono i dromedari in un buffo tentativo di farli trottare e, quando gli animali si rifiutarono, il loro entusiasmo e sollievo erano così grandi che non si arrabbiarono affatto. Si limitarono a continuare il loro percorso.
Yidir, invece, si paralizzò.
Il suo dromedario si fermò di colpo, mentre i suoi occhi color metallo fissavano la costruzione davanti a sé. Quella sarebbe stata la sua casa … fino alla sua morte.
La reazione non sfuggì al Cercatore. Si avvicinò al ragazzo e gli posò una mano sulla spalla: sentiva i muscoli del giovane tesi sotto la sua presa. Yidir, ancora una volta, non disse nulla.
Abbassò il capo e riprese a muoversi.
Il Cercatore lo osservò, preoccupato: Yidir avanzava verso la sua nuova casa con lo stesso passo di un condannato a morte.
Quando varcarono le porte, Yidir fu assalito da odori e rumori mai sentiti.
I suoi occhi rimasero stupefatti alla vista del castello del Regno della Terra.
L'edificio, rosso e squadrato, ricordava più una caserma militare o una fortezza che una reggia.
Era enorme per Yidir.
Lui, che aveva vissuto felicemente in tende e spostandosi nel deserto, non riusciva a comprendere l'assurdità di quel luogo.
Il Cercatore lesse il suo disorientamento, Yidir cercava di nascondere il proprio disagio, ma non gli sfuggì.
Il Cercatore non disse nulla.
Si concentrò invece sul vociare degli abitanti del castello al loro passaggio.
Alcuni esclamavano entusiasti per il ritorno del Cercatore e dei suoi uomini.
Altri bisbigliavano riguardo ai dromedari e, soprattutto, sullo strano beduino che li accompagnava.
Alcuni lo avevano riconosciuto come parte degli Uomini Cenere.
Perciò, la curiosità e il disorientamento erano tangibilissimi nell'aria.
Il Cercatore ascoltò i bisbigli e, quando sentiva qualcosa che non gli piaceva, lanciava sguardi di rimprovero alla folla.
Yidir si aggiustò il velo più volte, come per nascondere il più possibile il volto.
Finalmente, entrarono nel castello.
Yidir scoprì che aveva un largo cortile interno, che ospitava un giardino con un enorme albero.
Indicandolo, domandò:
"Che cos'è?"
Uno dei soldati rispose entusiasta:
"In quel giardino c'è un albero sacro alla Dea Gaia. La leggenda vuole che la Principessa-Schiava sia stata benedetta sotto le sue foglie, assieme ai primi generali da lei trovati: Jadeite, Kunzite, Nephrite e Zoisite."
Yidir annuì, stroncando ancora l'entusiasmo del soldato.
Furono accolti da un paio di sacerdoti e sacerdotesse della Dea Gaia, insieme alla Papessa e alla Gran Maga.
A queste ultime bastò un solo sguardo per capire che il Cercatore aveva compiuto il suo dovere.
La Papessa salutò con rispetto i nuovi arrivati.
"È un onore conoscerla, Shitennou Kunzite."
Yidir rispose con un cenno del capo. Era a disagio e, nonostante il volto fosse coperto, i suoi occhi erano fin troppo espressivi.
Si rivolse al Cercatore e gli domandò, ansioso:
"Non dovrei essere prima iniziato per usare quel nome?"
Il Cercatore tentò di rassicurarlo, ma venne interrotto dalla Gran Maga.
"Percepiamo la benedizione della Matrona Gaia su di lei, Kunzite."
Il tono della Maga non ammetteva repliche.
Yidir scese dal suo dromedario e chiese alle due potenti donne:
"Che cosa devo fare adesso?"
La Papessa indicò una coppia di sacerdoti maschi e, con un sorriso rassicurante, lo informò:
"I sacerdoti la accompagneranno nelle anticamere del Tempio di Gaia. Lì sarà svestito di tutto ciò che indossa e riceverà le vesti dell'allievo."
Fece una pausa.
"È chiaro che lei è Kunzite. Ma dovrà essere addestrato al suo ruolo. Io e la Gran Maga siamo qui per aiutarla." Concluse.
Il ragazzo non rispose.
Rimase in dignitoso silenzio.
Vide con la coda dell'occhio il Cercatore scendere dal suo dromedario.
"Ti aiuterò anche io. Sono il Maestro degli apprendisti Shitennou."
Gli poggiò una mano sulla spalla e sentiva la sua tensione dei muscoli.
"Andiamo, ti accompagno."
Non sfuggì al Cercatore lo sguardo riconoscente del giovane.
Il Cercatore accompagnò Yidir presso le anticamere, sentendo gli occhi addosso sia della Papessa che della Grande Maga, mentre i suoi soldati portavano via i dromedari.
Non entrò nell'anticamera con Yidir e i sacerdoti, ma attese fuori. Giunse le mani e pregò che Yidir e suo zio, con il tempo, trovassero pace.
Il senso di colpa che provava era indescrivibile.
All'improvviso, sentì un tonfo.
Interruppe la sua preghiera immediatamente.
Il trambusto all'interno aumentava. Di corsa, uno dei sacerdoti uscì dalla stanza e disse:
"Signor Cercatore, ci aiuti! Kunzite è diventato violento!"
Ma mentre il sacerdote parlava, il Cercatore era già entrato per vedere cosa fosse successo.
L'altro sacerdote, appena lo vide, gli rivolse una muta richiesta di aiuto e il Cercatore, incredulo, seguì il suo sguardo.
Yidir era senza velo.
Aveva una bellezza ancora immatura, ma non per questo meno stupefacente. I suoi capelli lisci e argentati, di media lunghezza, gli incorniciavano il viso color olivastro.
I grandi occhi di metallo, già espressivi prima, adesso lo erano ancora di più a volto scoperto. Erano lucidi di lacrime.
Yidir si copriva con le mani il lobo sinistro dell'orecchio e tremava visibilmente.
Il Cercatore si guardò intorno e notò, sotto una sedia rovesciata, un orecchino dalla forma di rombo allungato.
Ricordò che quella coppia di orecchini era appartenuta alla madre di Yidir.
"Sacerdote, vada. Ci penso io."
Disse con tono fermo e gentile.
L'altro replicò velocemente:
"Ma la Papessa ha detto…"
"Kunzite è un mio allievo adesso. Ci penso io a lui." Questa volta il tono del Cercatore si fece tagliente. Il sacerdote capì l'antifona ed uscì.
Yidir era rimasto immobile a guardare la scena. Sembrava un animale braccato.
Perciò, con cautela, il Cercatore si avvicinò. Alzò la sedia dal pavimento e si inginocchiò per raccogliere l'orecchino. Con una piccola magia, lo pulì. Poi, con ancora più cautela, si avvicinò al ragazzo e gli porse l'orecchino.
"Tieni."
Yidir esitò e disse:
"Mi hanno detto che non posso tenerli. Che non posso tenere nulla di quello che avevo prima, di quello che ero prima."
Pronunciò quelle parole nella sua lingua madre, non nella lingua lunare e la voce si spezzò sulle ultime parole: "Di quello che ero prima."
Il Cercatore non esitò.
"Sono il tuo Maestro, e ti dico che puoi tenere i tuoi orecchini."
Il giovane Yidir abbassò lo sguardo, tremando.
Il Cercatore lo aiutò a indossare l'orecchino.
Quel gesto di gentilezza spezzò la fragile compostezza di Yidir, che scoppiò in lacrime.
Il Cercatore lo prese tra le sue braccia e iniziò ad accarezzargli la testa.
"So che hai paura. So che questo è il giorno più difficile della tua vita. Ma ti aiuterò. In me hai trovato un amico."
Tra le lacrime, Yidir alzò lo sguardo e domandò:
"Allora qual è il tuo nome?"
"Il mio nome è Carnelian."
"No."
Disse Yidir, con una rabbia che non sembrava appartenere a quel ragazzo così disciplinato e calmo.
"Quello è il nome di una pietra. Come ti chiamavano i tuoi genitori!?"
Carnelian esitò per un attimo, inspirò profondamente e disse:
"Yosef… Puoi chiamarmi Yosef in privato, o quando ne sentirai il bisogno."
"Per favore, Maestro Yosef…"
Supplicò il ragazzo, nascostosi nel petto dell'altro.
"Mi chiami Yidir, quando può."
Yosef prese il viso del ragazzo tra le mani e gli disse con dolcezza:
"Lo farò, Yidir."
Gli anni passarono e Yosef cercò davvero di rendere Yidir felice nella Capitale.
Dall'altra parte, Yidir si impegnò duramente nel suo ruolo di Shitennou. Col tempo, divenne Kunzite.
Era il generale più forte.
Era amato dai suoi colleghi generali.
Aveva la fiducia della famiglia reale.
E… tutti lo credevano invincibile, irremovibile.
Eppure, Yosef percepiva in lui, nonostante la sua forza e resilienza innata, un'insicurezza profonda: il pensiero di non appartenere a quel posto lo tormentava. Yosef gli aveva sempre permesso di tornare al suo villaggio durante i Baccanali, giorni di festa in cui perfino i voti più stringenti venivano meno. Ma con il passare degli anni, Yidir aveva inspiegabilmente rinunciato a quelle visite.
Yosef non era mai riuscito a capirne il motivo e Yidir non aveva mai voluto parlarne. Forse, quelle visite gli confermavano ciò che cercava disperatamente di negare.
Che non era degno di essere Kunzite.
Perché, ogni volta, diventava sempre più difficile sentirsi a casa nel deserto.
Ma non si sentiva a casa neanche nel palazzo reale.
Kunzite col tempo, aveva smesso di fidarsi: prima di ciò che provava e poi di tutti. Aveva iniziato a vedere malizia anche dove non c'era.
Dietro la maschera stoica del generale terrestre, dotato e temuto, si celava un'anima in tumulto e nel Caos.
Per questi motivi, Yosef non fu sorpreso quando Kunzite si schierò dalla parte della manipolata Gran Maga Beryl, sotto la guida del demone Metaria.
Quella sua sensazione di vivere tra due mondi, senza appartenere a nessuno dei due, lo aveva reso facile da corrompere.
Era bastato spingere sulla sua paura di perdere quel poco che aveva.
Kunzite morì durante la battaglia della Terra contro il Regno della Luna.
E, nel mentre anche il Cercatore, o il Maestro Carnelian, o semplicemente Yosef, spirava per mano del suo altro allievo, Zoisite…
Sapeva di aver fallito.
Sapeva di non aver mantenuto la promessa fatta ad Amayyas.
Forse, per questo, sarebbe stato punito … probabilmente per l'eternità.
Oppure…
Forse quello che era successo a Yidir era stata solo una triste profezia autoavveratasi. A furia di pensare di essere indegno di essere Kunzite…
Lo era diventato davvero?
Yosef sperò solo, con tutta l'anima, che un giorno Yidir trovasse il suo posto nel mondo.
Se non in quella vita … in un'altra.
